Analisi dei luoghi e dei momenti in cui si comunica nel condominio. Come migliorare la qualità del dialogo nei contesti informali e in quelli ufficiali.
C’è un’intera vita che si muove tra un citofono che suona e una mano alzata in assemblea. Una vita fatta di sguardi veloci, parole sussurrate sulle scale, saluti non corrisposti, messaggi lasciati in ascensore e silenzi che dicono più di mille discorsi. Il condominio non è soltanto uno spazio architettonico, ma un organismo vivente in cui la comunicazione si svolge in infiniti micro-momenti: spesso sfuggenti, spesso maldestri, ma tutti significativi.
È in questo scenario che il pensiero di Erving Goffman risuona con particolare forza. Nella sua celebre teoria della “vita quotidiana come rappresentazione teatrale”, Goffman osserva che ognuno di noi, nei contesti sociali, agisce come se fosse su un palcoscenico: modula le parole, calibra i gesti, sceglie i silenzi. Ogni luogo, secondo Goffman, è una “scena” in cui mettiamo in atto una “performance” rivolta agli altri. Applicata al condominio, questa lettura ci invita a interpretare anche il più banale incontro in ascensore come un atto comunicativo ricco di significato, in cui il nostro “ruolo sociale” — il vicino cortese, il condomino distratto, l’amministratore disponibile — prende forma davanti a un pubblico spesso inconsapevole.
La qualità della convivenza nasce proprio da questi spazi di scambio, da come li viviamo, da quanto li riconosciamo come luoghi autentici di relazione. Perché ogni porta che si apre, ogni telefonata che arriva dal citofono, ogni riunione che si tiene in sala condominiale non sono mai gesti neutri: sono atti comunicativi, azioni che veicolano presenze, stati d’animo, intenzioni. La comunicazione condominiale è dappertutto, eppure è tra le più sottovalutate. E questa sottovalutazione nasce da un presupposto errato ma diffuso: l’idea che comunicare in condominio sia solo una funzione pratica, un passaggio obbligato per veicolare informazioni tecniche. In realtà, la comunicazione in questi luoghi è profondamente relazionale, simbolica, e persino emotiva.
Iniziamo dal citofono, il primo strumento di accesso ma anche di filtro. Non è raro che il tono con cui si risponde già definisca il clima relazionale: c’è chi sbuffa, chi risponde con distacco, chi usa quel momento come un’interruzione fastidiosa. Eppure, anche attraverso questo apparecchio, passa un’energia sociale. Il citofono può diventare una soglia simbolica: ci apre al mondo o lo tiene fuori. In un condominio, rispondere con tono accogliente, riconoscere la voce dell’altro, anche solo con un “Sì, buongiorno, salgo subito”, può cambiare il modo in cui l’altro ci percepisce. Proprio come suggerisce Goffman, il front-stage di un’interazione — anche se avviene solo via voce — è una costruzione identitaria. Un “Chi è?” può essere inquisitorio o rassicurante, e rappresenta la prima battuta di una scena che ci vede protagonisti.
Poi ci sono i luoghi di passaggio, quei “backstage” della vita condominiale in cui si svolgono interazioni brevi, spesso fugaci, ma non per questo meno incisive. Il pianerottolo, l’androne, l’ascensore: tutti spazi in cui il linguaggio del corpo è più forte delle parole. Spazi che ci obbligano alla prossimità fisica, anche quando vorremmo evitarla. È lì che si misura il grado di civiltà comunicativa: nello scegliere se salutare o far finta di nulla, nel rispondere con un sorriso o distogliere lo sguardo. In questi atti si gioca quella che Goffman chiama “ritualità dell’interazione”: piccoli gesti che mantengono l’equilibrio sociale. Rompere questa ritualità può significare creare attriti invisibili ma duraturi.
Il luogo per eccellenza della comunicazione ufficiale resta l’assemblea condominiale. Ed è proprio lì che si manifesta, nel bene e nel male, tutto ciò che la comunicazione ha sedimentato. Goffman ci invita a leggere l’assemblea come una scena ad alta tensione drammatica, dove i ruoli sono assegnati ma non sempre condivisi, dove le maschere cadono facilmente e la posta in gioco è la reputazione. Ogni intervento, ogni silenzio, ogni sarcasmo, ogni sguardo rivolto all’amministratore è parte di una rappresentazione collettiva. Il conflitto, qui, non è un incidente ma un potenziale narrativo. Tuttavia, se le relazioni quotidiane sono improntate all’ascolto e al rispetto, l’assemblea potrà trasformarsi in un laboratorio di convivenza e non in una scena di scontro.
Anche i canali indiretti — chat, bacheche, messaggi anonimi — sono parte del teatro della comunicazione. Anzi, secondo Goffman, sono uno dei luoghi dove il rischio di “incoerenza tra ruoli” è più alto. L’anonimato rompe le regole della responsabilità relazionale, alimenta malintesi e tensioni. Eppure, con uno stile gentile, si possono creare messaggi che non feriscono, ma spiegano. Basta riconoscere che ogni scritto ha un tono e che ogni tono può costruire oppure distruggere un legame.
Infine, ci sono i momenti straordinari, le occasioni in cui il condominio si scopre comunità: feste, emergenze condivise, iniziative ecologiche. In questi momenti la scenografia cambia, e ognuno può uscire dal proprio ruolo abituale per costruire qualcosa di nuovo. Goffman parlerebbe di “ridefinizione della situazione”: la possibilità di riscrivere il copione relazionale attraverso nuove scene collettive.
In definitiva, comunicare in condominio è un’arte teatrale nel senso più autentico: richiede consapevolezza, ascolto, presenza. Non si nasce capaci, ma si impara, giorno dopo giorno, scena dopo scena. Richiede, soprattutto, un cambio di prospettiva: vedere il vicino non come un problema, ma come un attore della stessa rappresentazione. Perché ogni gesto — aprire la porta, rispondere al citofono, sorridere in ascensore — è una battuta nel copione quotidiano di una convivenza possibile. E se impariamo a recitare questo copione con sincerità e rispetto, allora sì, il condominio potrà davvero diventare il palcoscenico di una buona vita comune.
La comunicazione condominiale non è mai solo tecnica o funzionale, ma è un atto profondamente relazionale, simbolico ed emotivo. Ogni interazione quotidiana — anche la più banale — è carica di significati. Dal tono con cui si risponde al citofono, al saluto sul pianerottolo, fino alle dinamiche più strutturate dell’assemblea condominiale, la comunicazione costruisce o deteriora il tessuto sociale del vivere insieme. Ciò che sembra secondario — un sorriso, una parola cortese, un gesto gentile — è in realtà fondamentale per generare fiducia, senso di comunità e rispetto reciproco.
Tutto quello che è stato detto in questo articolo mostra anche che la comunicazione nei contesti informali (ascensore, scale, bacheche) ha un impatto tanto quanto quella ufficiale, e che la qualità della convivenza dipende dalla continuità e coerenza di questi micro-scambi nel tempo. Inoltre, sottolinea che comunicare bene è un’arte che si apprende, che richiede consapevolezza e volontà di costruzione comune.
Lo studioso Erving Goffman, sociologo canadese, ci offre uno strumento potente per comprendere queste dinamiche attraverso la sua teoria della vita quotidiana come “performance teatrale” (esposta nel suo libro La vita quotidiana come rappresentazione). Secondo Goffman:
- Ogni persona, in ogni situazione sociale, interpreta un ruolo, come su un palcoscenico;
- Ogni interazione è una messa in scena in cui cerchiamo di controllare l’impressione che gli altri si fanno di noi (la “gestione dell’impressione”);
- Esistono dei “front stage”, come l’assemblea condominiale, dove i comportamenti sono più formali e osservabili, e dei “back stage”, come gli incontri casuali sulle scale, in cui le persone si rilassano e mostrano un lato più autentico o disinibito;
- Il successo della comunicazione dipende dalla coerenza tra ruolo, contesto e comportamento.
Applicando il pensiero di Goffman all’articolo, possiamo dire che il condominio è un teatro sociale, dove ogni interazione — anche quella più breve — contribuisce a costruire un’immagine di sé e degli altri. Il citofono è una soglia simbolica, il saluto un rituale, l’assemblea una scena corale. Secondo Goffman, la qualità della convivenza dipende dalla nostra capacità di “interpretare bene” il nostro ruolo, ma anche dalla disponibilità a riconoscere e rispettare il ruolo degli altri. Se il copione relazionale è costruito sulla fiducia, sulla cortesia e sul riconoscimento reciproco, allora la “rappresentazione” della vita condominiale può evolvere in una vera esperienza comunitaria.
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di Emilio Brancadoro
Esperto di gestione immobiliare e promozione culturale.