Gli ultimi eventi calamitosi registrati in Emilia Romagna, registrano dei devastanti effetti esercitati da una inconsueta ed eccessiva piovosità in fase primaverile su un terreno oramai cementificato dal lungo periodo siccitoso.
La combinazione tra codesti elementi, aggiunti ad una scarsa manutenzione del suolo, ha determinato l’esondazione di fiumi e canali nel territorio agricolo e nei centri abitati in esso presenti.
Non è semplice ricondurre questi fenomeni a una crisi climatica determinata dalle emissioni dovute all’eccessivo uso di combustibili fossili, dato che la chimica dell’atmosfera è cosa complessa, anche se per essa è nota l’interazione determinata dalla presenza umana con i suoi consumi energetici.
Un utile studio è quello eseguito dalla Fondazione Veronesi a seguito della fase dei lockdown relativi alla pandemia Covid 19, dove a fronte di una drastica riduzione della produttività e della mobilità, ha corrisposto una diminuizione dei livelli di biossido di azoto nell’atmosfera pari al 30-50% nei paesi europei. Tale gas viene prodotto soprattutto dal traffico, il particolare dai motori diesel, dalle centrali di produzione di energia elettrica e dal riscaldamento dei luoghi adibiti ad abitazione o luoghi di lavoro.
Ciò non significa che abbattendo la produttività si migliori il clima, altrimenti si verrebbe a creare una depressione economica tale che non vi sarebbero più risorse disponibili per combattere l’inquinamento atmosferico ed il miglioramento del rapporto tra uomo e ambiente.
Siccome i comportamenti dei singoli sono comunque auspicabili, ma non decisivi per affrontare in tempi stretti le conseguenze delle emissioni sulle variabilità del clima, è necessario che i governi adottino delle misure generalizzate per dare la giusta linea d’intervento.
Queste vanno poi valutate in base all’impatto che esercitano sull’economia di ciascuno di noi, perchè poi tutto si riduce a ciò, in una fase dove i processi inflazionistici mordono sull’andamento della vita quotidiana.
Parliamo di misure che in primo luogo devono rivolgersi verso l’intervento di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, le fonti rinnovabili di energia, la riconversione dei mezzi di trasporto verso la mobilità elettrica e la razionalizzazione del trasporto pubblico. A livello nazionale come si affronta il problema?
Un indicatore proviene dai dati occupazionali che orientano l’andamento dello sviluppo economico. Prendendo in esame il settore edile, il Cresme, centro di ricerche di mercato per chi opera nel mondo delle costruzioni e dell’edilizia, sostiene che: “il mercato delle costruzioni, nel triennio 2020-2022, ha registrato oltre 232 miliardi di investimenti, 91miliardi in più rispetto al 2019, con un incremento del 20,4% nel 2021 e del 14,9% nel 2022 – creando così un circolo virtuoso anche nelle assunzioni, sono infatti 460mila i posti di lavoro registrati in più nel 2022 rispetto al 2019; ne è conseguito che l’apporto sul Pil dato dal settore è salito al 13,9%: il più alto in Europa. La crescita di questi ultimi due anni è stata sicuramente alimentata dagli incentivi fiscali per la riqualificazione edilizia o dai fondi del PNRR, motivo cui anche le prospettive del 2023 rimangono positive.”
Come sottolinea il Cresme, “si attende una crescita del +41,7% delle nuove opere pubbliche, conferendo un ulteriore slancio che avrà sicuramente ripercussioni positive anche sulla filiera della mobilità orizzontale e verticale occupazionale. Il settore residenziale avrà probabilmente un’inversione di tendenza, in relazione alla riformulazione dei bonus, ma è proprio questo settore che negli ultimi anni ha visto, a fronte di un mercato in continua evoluzione, notevoli cambiamenti e soluzioni d’avanguardia, in linea con le nuove esigenze di risparmio energetico ed estetica del building.”.
Negli altri settori produttivi vi è stagnazione, salvo quello turistico che è in ripresa, tuttavia il rapporto tra ricchezza prodotta e ridistribuita presenta diverse lacune, dati i livelli retributivi da lavoro dipendente in Italia decisivamente più bassi rispetto alla media europea. Se non si crea benessere diffuso, diminuiscono le spese individuali, anche quelle alimentari in certi casi, con effetti diretti negativi sul gettito fiscale e sulla vita della persona.
Quindi appare chiaro che una forte spinta nel settore energetico può generare il miglioramento dei livelli occupazionali e ciò non si può affrontare se non con politiche governative chiare e non sotto traccia. Scelte che dipendono dal consenso delle persone, argomento molto sensibile per i politici e non sempre vi è una tendenza omogenea in campo generazionale. Il tutto si divide a metà a seconda dei singoli.
La fascia generazionale dai 60 anni in su è divisa a metà tra la sensibilità verso i problemi climatici e quella che vi è indifferente dato l’approssimarsi del fine vita. Le fasce di età più basse sono divise anch’esse tra una forte sensibilità cosciente, pratica e culturale, e quella di indifferenza, data dalla volontà di non cambiare il proprio stile di vita, privilegiato o meno.
A questo punto bisogna ritornare al forte impegno pubblico.
E’ necessaria una presa di consapevolezza da parte di tutti i governi, della adozione di interventi utilizzando anche i fondi del Next Generation EU, ovvero PNRR, Recovery plan, Piano nazionale di ripresa e resilienza, spiegando necessariamente alla gente capillarmente che cosa significano queste sigle ed istanze, che assegnano all’Italia 209 miliardi di euro per applicare tutti gli strumenti a disposizione atti a favorire un miglioramento della qualità della vita e dell’aria sul territorio nazionale, con effetti diretti sul sistema generale ambiente-lavoro-istruzione-sanità-casa.

di Domenico Sostero, architetto
domenico.sostero@gmail.it