Focus sul ruolo comunicativo dell’amministratore: dalla gestione dei dissidi alla capacità di essere facilitatore di relazioni.
In ogni condominio si muove una figura spesso vista come fredda, tecnica, impersonale. È l’amministratore. Ai suoi occhi si rivolgono sguardi carichi di richieste, reclami, domande di giustizia. Spesso si immagina che il suo compito si esaurisca nel rispetto delle norme, nella stesura dei verbali, nel calcolo delle spese. Ma l’amministratore, se vuole essere efficace nel senso più umano del termine, non è solo un garante della legalità condominiale: è un mediatore, un costruttore di ponti, un artigiano della parola. Dove il regolamento parla in modo rigido, lui può usare un linguaggio che apre. Dove la legge impone, lui può facilitare l’ascolto. Dove il dissidio divide, lui può proporre un linguaggio che unisce.
Il potere della parola, in mano all’amministratore, può fare la differenza tra il conflitto e la collaborazione. Perché chi amministra non solo “gestisce”, ma è chiamato a far convivere storie, caratteri, aspettative. È qui che il suo ruolo si avvicina a quello che il filosofo Jürgen Habermas definisce come “agente della comunicazione dialogica”. Per Habermas, la convivenza civile si fonda sulla comunicazione orientata all’intesa: uno scambio in cui le parti non cercano di prevalere, ma di capirsi, attraverso argomentazioni trasparenti, razionali, sincere. L’amministratore, in questa prospettiva, è chiamato a creare le condizioni per un dialogo autentico, dove anche il disaccordo diventa occasione di crescita.
Quando un vicino scrive un messaggio duro o formula una lamentela, la risposta dell’amministratore non è mai neutra: può irrigidire o ammorbidire, può scatenare altre tensioni o aprire spiragli. La capacità di mediazione linguistica è, in questo senso, una forma di leadership sottile ma potentissima. Il tono di una risposta, la scelta di una parola, la disponibilità a spiegare e non solo a notificare: tutto concorre a costruire una fiducia che va oltre il mandato annuale. L’amministratore efficace non si nasconde dietro le circolari, ma sa dare voce ai bisogni e sa restituire senso alle regole, mostrandole non come imposizioni, ma come strumenti al servizio della convivenza.
Il condominio è una piccola società dove ogni comunicazione è carica di aspettative. Le assemblee, i bilanci, gli avvisi: tutto ciò che l’amministratore redige o annuncia non è mai solo un atto burocratico, ma un evento relazionale. Se le lettere sono fredde, le assemblee diventano fredde. Se le parole sono dure, le reazioni saranno difensive. Ma se l’amministratore adotta un linguaggio chiaro, gentile, umano, può cambiare radicalmente il clima comunicativo. Come direbbe Habermas, la qualità del discorso pubblico (anche in miniatura, come nel condominio) dipende dalla capacità degli attori di cercare una comprensione reciproca. Ed è proprio questo l’obiettivo più alto: costruire non solo regole comuni, ma significati condivisi.
Anche nei momenti di maggiore tensione, l’amministratore può scegliere: irrigidirsi nella norma o aprire uno spazio per l’ascolto. Quando due condomini si scontrano, spesso non chiedono solo una soluzione tecnica, ma un riconoscimento, una legittimazione della propria posizione. Ecco che il linguaggio dell’amministratore può diventare uno specchio che riflette comprensione e autorevolezza. Non si tratta di prendere posizione, ma di essere terzo, di creare un terreno neutro in cui le parti si sentano viste, ascoltate, comprese.
Ciò richiede una competenza rara: la gestione empatica della parola. Significa ascoltare prima di rispondere, riformulare i messaggi con delicatezza, trasformare una critica in una proposta, una lamentela in una possibilità. Quando un amministratore si prende il tempo di chiamare un condomino anziché inviare una PEC, quando sceglie di spiegare una delibera con parole semplici invece che con codici giuridici, sta compiendo un atto comunicativo trasformativo. Sta dicendo: “Voglio che tu capisca, non solo che tu sappia”.
Nell’ottica di Habermas, questo significa passare da una comunicazione strumentale a una comunicazione orientata all’intesa. Non si tratta solo di “trasmettere informazioni”, ma di costruire senso comune, di orientare il gruppo verso un obiettivo condiviso. Questo può accadere anche in un gruppo WhatsApp condominiale, dove un messaggio mal formulato può scatenare il caos e una risposta ben calibrata può riportare serenità. Oppure in assemblea, quando l’amministratore sceglie di valorizzare ogni intervento, anche quello critico, come parte del processo di partecipazione, e non come un ostacolo.
Il linguaggio dell’amministratore non è fatto solo di frasi: è fatto di presenza, di scelte quotidiane, di disponibilità al confronto. Quando riesce a parlare non “al” condominio, ma “con” il condominio, accade qualcosa di profondo: si attiva una relazione dialogica, capace di contenere le divergenze, di accompagnare le fragilità, di dare voce anche a chi non osa alzare la mano.
Essere ponte significa, in fondo, proprio questo: abitare l’incontro, anche tra posizioni distanti. Significa creare un passaggio tra ciò che divide e ciò che può unire. E per farlo servono strumenti semplici e potenti: le parole giuste, dette nel momento giusto, con il tono giusto. Non serve un lessico forbito, ma un linguaggio che includa, che spieghi, che accolga. Un linguaggio che non nasconda il conflitto, ma lo sappia attraversare.
In definitiva, l’amministratore è tanto più efficace quanto più è capace di trasformare le sue comunicazioni in azioni di relazione. Può decidere se essere un tecnico delle norme o un professionista della convivenza. Può scegliere se firmare documenti o costruire fiducia. E può diventare davvero ponte tra le persone, se riconosce che la prima cosa da amministrare — prima ancora dei bilanci o dei millesimi — sono le parole. Perché nelle parole che l’amministratore pronuncia, scrive o tace, si gioca ogni giorno la possibilità di costruire non solo edifici, ma comunità.
Il ruolo dell’amministratore di condominio non è solo tecnico-gestionale, ma fortemente comunicativo e relazionale. Amministrare non significa solo applicare norme o far rispettare regolamenti, ma saper mediare, ascoltare, spiegare, contenere e facilitare. La comunicazione diventa uno strumento chiave per generare fiducia, prevenire conflitti e promuovere una cultura della convivenza.
Il testo mostra come la qualità del linguaggio usato dall’amministratore — sia esso parlato o scritto — abbia un impatto profondo sul clima del condominio. Tono, parole, tempistiche, capacità di ascolto e di riformulazione: tutto contribuisce a costruire (o deteriorare) la relazione con i condomini. Il messaggio centrale è che la parola, usata con consapevolezza, può essere più efficace di qualsiasi regolamento nel risolvere tensioni e nel favorire la collaborazione.
Jürgen Habermas, filosofo tedesco e teorico della comunicazione, fornisce un’ottima chiave di lettura per comprendere il significato profondo di questo articolo. Habermas ha elaborato la teoria dell’agire comunicativo, secondo la quale la comunicazione non deve essere intesa solo come trasmissione di informazioni, ma come processo orientato all’intesa reciproca tra individui.
Secondo Habermas:
- La comunicazione autentica si basa su sincerità, chiarezza e volontà di comprensione.
- Una comunità civile e cooperativa può esistere solo se i suoi membri si riconoscono reciprocamente come interlocutori legittimi.
- Il linguaggio non serve a comandare, ma a trovare un terreno comune, anche in presenza di divergenze.
Applicando il pensiero di Habermas al ruolo dell’amministratore, possiamo dire che un buon amministratore non esercita un potere verticale, ma promuove un dialogo orizzontale, creando contesti in cui le persone si sentano ascoltate e valorizzate. La sua comunicazione non mira a “vincere” una discussione, ma a costruire senso condiviso, a orientare i condomini verso decisioni ragionate e partecipate.
In questo senso, l’amministratore diventa — nel linguaggio di Habermas — un agente dell’etica discorsiva, colui che crea le condizioni per una convivenza fondata sulla parola, non sul controllo.
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di Emilio Brancadoro
Esperto di gestione immobiliare e promozione culturale.