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Home Amministratore di condominio

Parole e condominio, il linguaggio che usiamo costruisce convivenza

Giugno 2, 2025
in Amministratore di condominio
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Parole e condominio, il linguaggio che usiamo costruisce convivenza
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Un articolo sulle parole che usiamo nei contesti condominiali, e su come influenzano le relazioni. Linguaggio assertivo, gentilezza, tono e ascolto attivo come strumenti di costruzione.

Ogni giorno, dietro le porte chiuse dei nostri appartamenti, si svolge un dialogo invisibile che ha poco a che fare con il rumore delle stoviglie, i passi sulle scale o il fruscio dell’acqua nei tubi. È il dialogo delle parole, delle intenzioni, dei silenzi, dei toni e delle pause. Nel microcosmo del condominio, la comunicazione non è un accessorio della convivenza: ne è il cuore pulsante e invisibile. Tutto ciò che viene detto, scritto, taciuto o appena accennato incide sulle relazioni quotidiane, sul senso di comunità, sulla percezione di sicurezza e benessere. Le parole, in questo contesto, non sono meri strumenti: sono mattoni, cemento e finestre. Con esse si costruiscono muri o si aprono varchi; si alzano barriere o si tendono ponti. Spesso, a fare la differenza tra una riunione esplosiva e un dialogo costruttivo è una parola in più detta con garbo, o una parola in meno detta con rabbia. Il linguaggio che scegliamo non è neutro: è un atto di responsabilità, un gesto che lascia un’impronta, visibile o invisibile, nello spazio condiviso in cui abitiamo.

Ed è proprio questa idea — che il linguaggio non sia mai neutro — a trovare una profonda risonanza nel pensiero del filosofo Michel Foucault, secondo cui le parole non si limitano a descrivere il mondo: lo creano, lo ordinano, lo disciplinano. Per Foucault, il linguaggio è uno strumento di potere e di controllo sociale, ma è anche un campo di possibilità, in cui si può scegliere di esercitare un potere creativo e inclusivo, invece che escludente. Se trasponiamo questo pensiero nella vita condominiale, comprendiamo che ogni parola usata in assemblea, ogni messaggio in bacheca, ogni frase detta o non detta in ascensore, contribuisce a plasmare la realtà sociale del condominio. In altri termini, le parole non abitano solo il linguaggio: abitano lo spazio, definiscono le relazioni, delimitano ciò che è possibile o impossibile dire e fare.

Ogni ambiente condiviso diventa teatro di micro-comunicazioni: il buongiorno sull’ascensore, lo sguardo incrociato sul pianerottolo, l’avviso scritto in bacheca, la battuta scambiata durante l’assemblea. In ciascuna di queste situazioni, il tono, le parole e le scelte espressive creano micro-gerarchie, inclusioni, esclusioni. Eppure, troppo spesso la comunicazione condominiale è abbandonata all’improvvisazione, alla reazione emotiva, all’abitudine. Si tende a scrivere con fretta, a parlare per sfogo, a giudicare anziché osservare. Ma — direbbe ancora Foucault — nominare è già decidere. Definire un vicino come “antipatico” è una forma di etichettamento, un atto linguistico che produce una verità e la impone. Viceversa, scegliere parole che aprano spazi di possibilità, che esprimano curiosità invece di condanna, che domandino anziché affermare, può inaugurare una nuova fase della convivenza.

Nel condominio, ogni relazione è in equilibrio tra prossimità fisica e distanza emotiva. È facile scontrarsi, difficile comprendersi. Ed è qui che il linguaggio assertivo diventa uno strumento prezioso. Assertività non è aggressività camuffata, ma capacità di affermare sé stessi con rispetto, una forma di libertà espressiva che non travolge l’altro. Un linguaggio assertivo riconosce i propri bisogni e valorizza quelli dell’altro. Rende possibile il confronto, laddove un linguaggio passivo genera frustrazione e uno aggressivo produce conflitto. L’assertività è una pratica discorsiva alternativa che, come direbbe Foucault, resiste alle strutture di dominio insite in molti atti comunicativi inconsapevoli.

Ma oltre all’assertività, è la gentilezza a svolgere un ruolo spesso decisivo. La gentilezza è un linguaggio invisibile, fatto di toni, pause, piccoli gesti. In un contesto dove si condividono muri sottili e spazi comuni, la gentilezza può essere una micro-resistenza quotidiana all’indifferenza e all’ostilità. Un messaggio lasciato con garbo, una richiesta espressa con cortesia, un ringraziamento spontaneo hanno un potere disarmante. In una società abituata a difendersi prima ancora di ascoltare, la gentilezza riapre gli spazi della relazione, sfida la logica del conflitto e afferma un’altra possibilità di convivenza. È, in termini foucaultiani, una riscrittura del discorso dominante che vuole il condominio come luogo di disagio, non di possibilità.

E proprio la gentilezza, insieme all’ascolto attivo, può diventare la cifra distintiva della vita condominiale. Ascoltare davvero significa fermarsi, prestare attenzione, sospendere il giudizio. Significa essere presenti, non solo fisicamente, ma emotivamente e mentalmente. L’ascolto attivo è il contrario della reazione automatica: è apertura all’altro. E come ci insegna Foucault, il vero potere non sta nel parlare, ma nel creare le condizioni affinché anche l’altro possa parlare. Un amministratore che ascolta prima di rispondere costruisce fiducia. Un vicino che accoglie il disagio altrui senza sentirsi subito accusato dimostra maturità relazionale. Ascoltare non è passivo: è un atto attivo, generoso, che disarma i conflitti e apre a soluzioni condivise.

Nell’epoca della comunicazione digitale, dove ogni parola può diventare permanente e ogni tono può essere frainteso, anche la comunicazione scritta merita attenzione. Una e-mail inviata a tutto il condominio, un avviso affisso in bacheca, un messaggio inoltrato in un gruppo WhatsApp possono essere detonatori o catalizzatori. Scrivere con rispetto, evitando toni perentori, formule impersonali o linguaggi burocratici, può trasformare una comunicazione unilaterale in un invito al dialogo. Le parole scritte, una volta emesse, non si possono più ritirare. Ecco perché meritano la stessa cura delle parole dette. Per Foucault, la scrittura è una forma potente di sorveglianza e archiviazione, ma può anche diventare un luogo di memoria condivisa, se trattata con rispetto.

La forza delle parole non è solo teorica. Esistono storie concrete che testimoniano il potere trasformativo del linguaggio. Come quella di due vicini in conflitto da anni, che grazie a un semplice biglietto lasciato nella cassetta della posta – garbato, sincero, aperto al dialogo – hanno ritrovato la voglia di parlarsi. O di un amministratore che, cambiando il tono delle proprie lettere ai condomini, ha visto diminuire le contestazioni e aumentare la partecipazione alle assemblee. Sono segnali evidenti che il linguaggio è il primo strumento di governo della convivenza. È il primo passo verso una cultura dell’abitare più consapevole.

Tuttavia, comunicare bene non significa solo usare parole giuste. Significa anche comprendere il valore del silenzio. Perché anche il silenzio comunica. Un saluto non ricambiato, una richiesta ignorata, una porta chiusa sono messaggi chiari, a volte più eloquenti di mille parole. Imparare a leggere i silenzi, a non temerli, a rispondere con delicatezza può aprire nuovi scenari di relazione. Non è necessario parlare sempre. Ma è fondamentale scegliere quando e come rompere il silenzio.

Alla base di tutto questo c’è un presupposto fondamentale: decidere insieme come comunicare. Un condominio può dotarsi di regole condivise, di un linguaggio comune, di stili comunicativi che rispecchino la volontà di cooperare. Può scegliere di evitare toni accusatori nei verbali, di prevedere momenti di ascolto prima delle delibere, di scrivere avvisi in modo inclusivo. Non si tratta di regolamenti imposti, ma di cultura partecipata. Costruire un vocabolario comune significa costruire una comunità di senso. Significa passare da un condominio come sommatoria di individui a una comunità come intreccio di relazioni.

E allora, cosa significa abitare davvero insieme? Significa abitare anche con le parole. Prendersi cura del modo in cui ci si rivolge agli altri. Coltivare la responsabilità di ogni comunicazione, anche quella più banale. Perché ogni parola può essere un seme. E in condominio, come nella vita, si raccoglie ciò che si semina. Seminare comprensione, empatia, apertura porta frutti di pace, di fiducia, di collaborazione. Non è facile. Richiede esercizio, intenzione, disponibilità a mettersi in discussione. Ma è possibile. Ed è l’unica strada per trasformare il condominio da campo di battaglia silenziosa a luogo di vita condivisa e liberata. Perché — come Foucault ci insegna — la parola è potere, e usarla per includere, invece che per escludere, è un atto profondamente politico e umano. È l’arte più alta del vivere insieme.

Leggi tutti gli articoli della sezione Amministratore di Condominio

di Emilio Brancadoro
Esperto di gestione immobiliare e promozione culturale.

Tags: Apertura

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