Rispetto al passato i cittadini vivono le città più disillusi e con meno aspettative e partecipazione. È tempo che la politica recuperi la fiducia delle persone e che rispetti gli impegni per recuperare i territori.
Se un cittadino medio riflettesse sulla propria quotidianità con tutta la sua routine complessa di spostamenti, di lavoro per produrre un reddito, di far fronte ai problemi familiari e limitando talvolta i rapporti verso l’esterno, prenderebbe coscienza che il futuro è come oggi, senza scossoni e funzionale ad un percorso che ci si augura rimanga sempre lineare e privo di imprevisti.
Questo preambolo non è un insulto alla normalità, ma è la prevalente impressione che si coglie oggi negli scenari urbani che sembrano avere perso quella spinta che trasformava le realtà dei quartieri in laboratori sociali che aggregavano le persone sui temi di una certa rilevanza e che stimolavano la partecipazione a dei processi di trasformazione urbana che dovevano conseguire l’obiettivo del miglioramento della qualità della vita.
Gli abitanti delle città metropolitane percepiscono attualmente che le tematiche dello sviluppo urbano si manifestano prevalentemente nelle iniziative private ad alta redditività, capiscono oramai che sono privi del “diritto alla città” che si manifesta in multiformi aspetti: la perdita del diritto alla casa per i meno abbienti, il degrado determinato dall’incapacità amministrativa pubblica di affrontare il tema dei rifiuti, la mancanza di efficienza del trasporto pubblico, l’assenza di una disciplinata accoglienza di chi viene da lontano in stato di disagio e lo stato di una istruzione scolastica che, per come è strutturata attualmente, è diventata la fabbrica della dispersione e del fallimento educativo.
Tornando al cittadino medio, è la sua presunta indifferenza che non stimola la risposta pubblica alla risoluzione dei disagi oppure egli è vittima di una gestione della cosa pubblica che disattende il principio del buon amministrare ed è incapace di dare speranza e fiducia?
Probabilmente è necessaria una nuova visione su ciò che le amministrazioni devono intraprendere per riprendersi la fiducia della gente e sicuramente esse devono fare riferimento a principi che da tempo si dibattono a livello mondiale sul tema del disagio urbano.
Già nel 2016 l’ONU organizzò la Conferenza Habitat III che affrontava il tema della ricerca della “città giusta”, ove si affermava che “trasformare il nostro mondo per il meglio, vuol dire trasformare le nostre città”.
In tale contesto, si affermava che i principi fondamentali, attorno ai quali ruota il rinnovamento delle città, si basano su nuova socialità urbana fondata sul “diritto alla casa, l’importanza dello spazio pubblico, l’impegno civico e la partecipazione dei cittadini come fondamenti del senso di appartenenza ad una comunità e a un territorio, senza lasciare nessuno indietro e traendo vantaggio dalle economie di agglomerazione di insediamenti correttamente pianificati ed ambientali al fine di garantire usi sostenibili del suolo e delle risorse naturali ed energia pulita”.
Attualmente non è facile sostenere che tutti questi principi siano attuabili in tempi ragionevoli. Tuttavia fermare dei processi in corsa perché ritenuti distorti, può essere ancora più dannoso ed incomprensibile. Quindi non rimane che andare avanti, cercando di correggere quanto è in atto.
Guardando in senso positivo al futuro, è utile comunque considerare come alcune amministrazioni locali si stanno muovendo.
Nel caso di Roma, si sta rafforzando il decentramento amministrativo del territorio attraverso una maggiore responsabilizzazione dei Municipi verso i processi di rigenerazione urbana degli spazi dismessi e nella rivalutazione di quelli rimasti aperti, orientando gli studi di fattibilità verso l’impiego di significative iniziative di produzione di energia attraverso fonti rinnovabili che possano costituirsi quali comunità energetiche ad uso collettivo.
Come ulteriore apporto sul fronte del risparmio energetico e miglioramento climatico, va considerato il contenimento del trasporto privato su strada, il quale deve essere sostituito da quello pubblico in maniera efficiente e sostenibile.
Quali sono i programmi di Roma Capitale in merito? Sembrano essere molteplici e se essi ricalcano la logica della Metro C, che ha reso raggiungibile dal centro l’estrema periferia orientale in un tempo pari a circa 40 minuti, le premesse sono soddisfacenti, sempre che si verificano entro il 2030 come annunciato.
Sul tema del diritto alla casa, che riguarda i settori sociali più disagiati, il problema è di estrema gravità, tuttavia è stato messo in campo un piano strategico 2023-2026 che dovrebbe analizzare tutte le criticità, per poi risolverle con un cospicuo intervento pubblico.
In quanto ai rifiuti, è stato approvato il Piano di Gestione che prevede di raggiungere la soglia del 65% di raccolta differenziata entro il 2030. Sul tema del termovalorizzatore vi è uno scontro politico in atto di non facile soluzione.
In conclusione, se agli annunci seguiranno i fatti, l’anno 2030 sembra essere decisivo per Roma. Se non dovesse succedere, il declino diventerà irreversibile e qualcuno ne dovrà assumere le responsabilità.

di Domenico Sostero, architetto
domenico.sostero@gmail.it