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Il condominio e gli obblighi delle convenzioni urbanistiche

Aprile 18, 2025
in Normativa
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Il condominio e gli obblighi delle convenzioni urbanistiche
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Le amministrazioni condominiali di edifici realizzati a seguito di piani urbanistici attuativi (quali ad esempio piani di lottizzazione o piani di recupero) subentrano anche nella gestione dei rapporti con i Comuni rispetto alle relative convenzioni urbanistiche stipulate a suo tempo tra l’amministrazione comunale ed i soggetti promotori del piano attuativo, danti causa del condominio. Parliamo di convenzioni urbanistiche, stipulate a volte anche diversi anni addietro, talvolta stabiliscono che gli attuali condomini (subentrati nella convenzione in quanto divenuti proprietari dell’immobile) debbano provvedere a propria cura e spese in perpetuo, ad esempio, alla manutenzione ordinaria di un parcheggio pubblico o del verde pubblico comunale e delle relative attrezzature.

In un caso recentemente trattato dal TAR della Lombardia (sentenza n. 603/2023) un condominio – che in forza appunto di una convenzione urbanistica provvedeva alla manutenzione del limitrofo parco pubblico comunale – presentava al Comune una propria istanza con la quale chiedeva che gli interventi manutentivi rimasti, secondo la convenzione urbanistica del piano di recupero, a carico del condominio cessassero entro una data certa, da definire. A tale istanza condominiale faceva seguito anche una diffida. Il Comune infine confermava però la sussistenza del predetto obbligo manutentivo già previsto dalla convenzione. Atto sfavorevole che il condominio impugnava però con ricorso al tribunale amministrativo regionale.

È interessante rilevare che il TAR in questione ha ricordato che le convenzioni attuative dei piani urbanistici rientrano nel novero degli “accordi procedimentali o sostitutivi” (di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990), sicché alle stesse si applicano i principi del codice civile sulle obbligazioni e sui contratti (così il comma 2 del citato art. 11; in giurisprudenza si veda, in particolare, Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 6164/2014). Di conseguenza nella fattispecie può trovare applicazione anche l’art. 1421 del codice civile, a norma del quale la nullità del contratto può essere rilevata d’ufficio dal giudice e la giurisprudenza della Corte di Cassazione ammette la rilevabilità d’ufficio allorché si controverte sull’applicazione di un atto la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda giudiziale (così, fra le tante, Cassazione civile, ordinanza n. 11550/2007). In pratica, sempre in ordine al citato art. 1421 c.c., la rilevazione d’ufficio della nullità contrattuale presuppone che nel giudizio si discuta dell’applicazione del contratto e che la parte – il condominio ricorrente – abbia uno specifico interesse alla declaratoria della nullità.

Nel caso di specie l’intera vicenda controversa ruotava intorno all’efficacia di una clausola della convenzione urbanistica e la pretesa del condominio è stata, in buona sostanza, quella per cui la clausola stessa non potesse più reputarsi efficace. Tale clausola, contenuta nella convenzione urbanistica, risalente al 2005, aveva posto a capo dei proponenti il piano di recupero – quindi ora in capo al subentrato condominio – un obbligo “in perpetuo” alla manutenzione ordinaria dei parcheggi e del verde pubblico deve, ha affermato il TAR, reputarsi nulla o comunque non più giuridicamente efficace.

A tal proposito, infatti, il nostro ordinamento non consente vincoli contrattuali perpetui. In altri termini un obbligo di carattere personale e continuativo – come è stato, nel caso di specie, quello di manutenzione del parco pubblico comunale – non può vincolare un soggetto (il condominio) senza alcun limite di tempo. L’ordinamento civile prevede, infatti, durate diverse e massime per i singoli contratti; si pensi, a mero titolo di esempio, alla locazione che non può avere durata superiore a trent’anni (art. 1573 del codice civile) o all’affitto di fondi destinati al rimboschimento per il quale è previsto il termine massimo di novantanove anni (art. 1629 del codice civile). Per i contratti tipici a tempo indeterminato è poi praticamente sempre ammessa la facoltà di recesso, proprio per evitare vincoli personali perpetui.

Può quindi affermarsi, in conformità alla giurisprudenza e alla dottrina dominanti, che esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo cui in ogni rapporto contrattuale a tempo indeterminato il recesso unilaterale (ex art. 1373 del codice civile) costituisce una ordinaria causa estintiva, considerato che la perpetuità di un vincolo obbligatorio contrasta anche con il principio di buona fede nell’esecuzione contrattuale (ex art. 1375 del codice civile). In giurisprudenza la Cassazione civile (sezione lavoro, sentenza n. 6427/1998) ha ricordato che: “…Per quanto attiene in particolare ai contratti privi di termine finale, ossia a tempo indeterminato, deve essere riconosciuta la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una espressa previsione legale, così come ha già da tempo riconosciuto autorevole dottrina. Trattasi di un principio, che appare in sintonia con quello di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), e che è coerente con la particolare struttura del rapporto, che non può vincolare le parti senza limiti, in contrasto con la naturale temporaneità della obbligazione”.

 L’ordinamento civile conosce vincoli perpetui in tema di servitù prediali ma in tale caso il vincolo non hai mai carattere personale ma è imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo (così l’art. 1027 del codice civile sulla definizione di “servitù prediale”). A conferma di quanto sopra, è noto che il proprietario del fondo servente può essere tenuto ad un obbligo di non fare oppure di sopportare l’attività altrui ma non ad un obbligo di “facere” di carattere personale (cfr. l’art. 1030 del codice civile). Ne deriva altresì il divieto di servitù atipiche e che, anche nel caso in cui fosse posta convenzionalmente a carico del proprietario del fondo servente una prestazione accessoria, tale prestazione sarebbe necessariamente temporanea.

Sulla base di quanto sopra ricordato la clausola della convenzione urbanistica sopra menzionata, oggetto del ricorso del condominio, non è stata reputata legittima laddove aveva posto un obbligo manutentivo perpetuo in capo al condominio ricorrente. Tale clausola della convenzione è stata pertanto dal TAR reputata inefficace, con conseguente liberazione del condominio dall’obbligo manutentivo. Ovviamente è rimasta invece l’efficacia delle altre clausole della stessa predetta convenzione urbanistica (sulla nullità parziale e limitata ad una sola clausola, che non si estende però all’altra parte del provvedimento, cfr. in particolare Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 22/2020).

Leggi tutti gli articoli della sezione Normativa

Antonio Chierichetti, avvocato
www.studiolegalechierichetti.eu

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