Le misure attuative del decreto 69/2024 stanno intervenendo in una materia che è rimasta per anni nell’ombra legislativa dei provvedimenti degli anni passati, in particolare del decreto Sanità del 1975
Già nel precedente articolo (Condominio Zero Problemi n.15) abbiamo trattato l’argomento del decreto “ Salva Casa” n. 69/2024, convertito in legge con il provvedimento n. 105 del 24 luglio 2024, illustrando le modifiche introdotte al testo originario. Ora che tale innovazione legislativa è scomparsa dal panorama mediatico, merita raccontare quale solo le sue evoluzioni attuative, ovvero il recepimento che gli enti locali doverosamente devono operare su una legge dello Stato, che comunque richiama le competenze di essi sul tema delle regole generali in materia di costruzioni, già governate da più di un ventennio dal Testo Unico Edilizia di cui al dpr n. 380/2001 che, dallo stesso decreto Salva Casa, viene ulteriormente novellato.
Il TUE è una disposizione legislativa che nel suo testo stesso contiene la norma che regola l’attività edilizia. Nel tempo esso ha subito diverse modifiche ed è stato affiancato da diversi altri dispositivi legislativi, tra i più importanti: il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222; L’individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (Scia), silenzio assenso e comunicazione e definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti in tema edilizio e commerciale.
In parole povere tale decreto codificava in forma particolare, a seconda degli interventi da fare sull’immobile, quali erano gli strumenti puntuali da adottare per presentare i relativi progetti, ovvero opere in edilizia libera, oppure soggette a Cila – Comunicazione Inizio Lavori Asseverata, Scia, quest’ultima anche in alternativa al PdC, ed opere esclusivamente subordinate al effettivo permesso di costruire.
Poi vi sono stati altri decreti di semplificazione, che a citarli tutti sarebbe ridondante e noioso, tuttavia questi si sono rivelati rilevanti in quanto entravano nel merito delle altezze interne minime dei locali di abitazione e in quale misura dovevano essere arieggiati e illuminati naturalmente.
Su questo tema vige il decreto ministeriale sanità del 5 luglio 1975 – requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione – il quale disponeva che le altezze interne minime degli appartamenti, dovevano essere di metri 2,70 per gli ambienti abitabili e di metri 2,40 per i bagni e gli spazi accessori quali corridoi, disimpegni bagni e ripostigli. Le stanze devono avere finestre di superficie minima pari a 1/8 di quella del loro pavimento.
Date tali condizioni, si veniva a creare un vuoto normativo rilevante, che riguardava diversi appartamenti collocati nei centri storici italiani, ove non si verificano i parametri prima descritti. Vero è che la logica porterebbe a pensare che gli immobili in centro storico sono stati costruiti antecedentemente al testo unico sanitario del 1975, però non stava scritto da nessuna parte che esso non avesse effetti sugli immobili realizzati antecedentemente a esso o in epoca immemore.
Talvolta succedeva che un proprietario voleva spostarsi dal centro storico nella fascia semicentrale o periurbana e voleva mettere a rendita il suo immobile per destinarlo a struttura ricettiva extra-alberghiera. Sovente l’ufficio competente per il rilascio della relativa autorizzazione, sollevava l’eccezione in merito all’altezza interna, qualora inferiore ai parametri stabiliti. Fermo restando che il sottoscritto è culturalmente contrario alla trasformazione generalizzata dei centri storici in veri “parchi a tema” turistici con lo snaturamento del tessuto sociale originario, la questione poneva dei dubbi anche sull’ordinaria sussistenza dei requisiti di una abitazione senza la pretesa di trasformarla in un B&B. Su tale argomento sono intervenuti i decreti di semplificazione n. 76/2020 e n. 77/2021 stabilendo le ovvie e coerenti deroghe in merito.
Eseguita questa premessa, forse un po’ noiosa e anche parziale, in quanto vi sono tanti altri provvedimenti modificativi delle norme generali che si sono succeduti nel tempo, ci si domanda se il decreto Salva Casa , abbia operato delle decisive innovazioni.
Tale decreto non è di certo un condono per nuove volumetrie in deroga alle leggi statali o locali, bensì opera alcune semplificazioni rispetto ad alcuni processi amministrativi che regolano la sanabilità di alcune difformità, più o meno lievi, che caratterizzano il patrimonio immobiliare privato. Interviene moderatamente anche sui parametri delle ammissibili tolleranze costruttive ed esecutive e modifica più favorevolmente quelli minimi del prima richiamato decreto ministeriale Sanità del 5 luglio 1975. Tuttavia, declinando le sue innovazioni, il decreto stesso evidenzia la concorrenza con le norme locali, suscitando come effetto i doverosi recepimenti da parte delle regioni e dei Comuni.
Alcuni enti stanno già operando in merito e la regione Lazio, che più interessa il nostro territorio, ha emesso la dgr n. 742 del 3 ottobre 2024 che affronta per ora solo la questione delle regolarizzazioni degli immobili che ricadono in ambito paesaggistico, disciplinando tempi in coerenza con il decreto Salva Casa, procedure e sanzioni.
Roma Capitale ha anch’essa fatto la sua circolare, il cui esito si fonda su criteri più restrittivi rispetto a quelli del decreto, dichiarando che:“ Le sopravvenute modifiche del regime edilizio da parte del Governo ‘non possono impattare sulle scelte urbanistiche precedentemente approvate, pena la loro vanificazione’; vanno dunque rispettati i principi di autonomia statutaria e normativa dei Comuni e delle attribuzioni costituzionalmente conferite alle regioni e agli enti locali, principi espressamente richiamati nei commi 4 e 5 dell’art. 2 del D.P.R. 380/01.”
In buona sostanza Roma Capitale rivendica il suo primato, restringendo per ora il suo recepimento ai soli argomenti in tema di mutamenti delle destinazioni d’uso, oblazioni e agibilità.
Se vi sia una componente critica nei confronti del decreto, non è sostenibile, tuttavia una cosa è certa, la disciplina è molto complicata e di non facile lettura dal semplice cittadino, pertanto le azioni vanno svolte con il supporto di un tecnico la cui scelta, oltre a risiedere nella sua preparazione ed esperienza, deve prevedere una buona capacità di rendere comprensibile al committente il processo da intraprendere, suscitando così anche una cosciente partecipazione del medesimo.
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di Domenico Sostero, architetto
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