Esiste una legittimazione dell’amministratore del condominio ad agire, nei confronti del locatario, per il pagamento dei canoni di locazione insoluti? Per il Tribunale di Roma sembra proprio di si.
Un amministratore di condominio, dopo il rilascio da parte del conduttore dell’appartamento condominiale concessogli in locazione, richiedeva al tribunale un’ingiunzione per il pagamento di alcuni canoni insoluti, cui seguiva opposizione da parte del conduttore, il quale eccepiva il difetto di rappresentanza e di legittimazione attiva dell’amministratore.
Per quel che interessa qui, il tribunale di Roma (sentenza n. 8632 /2022) ha rigettato l’opposizione affermando che la legittimazione di quest’ultimo derivava dalla circostanza che il contratto di locazione tra le parti era stato regolarmente approvato dall’assemblea e con esso era stato dato il potere all’amministratore di firmare il contratto e, in generale, di espletare tutte le attività che solitamente spettano al locatore ai sensi degli articoli 1575 e seguenti c.c. nonché il recupero dei canoni di locazione.
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1130 comma 1, n. 1), n. 3) e 4) c.c. l’amministratore di condominio ha l’obbligo di eseguire le deliberazioni dell’assemblea, di riscuotere i contributi e compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni, da intendersi estensivamente nel senso che egli, non solo è legittimato a compiere gli atti necessari a evitare pregiudizi alle parti comuni, ma può compiere anche atti per la salvaguardia dei diritti concernenti le stesse parti comuni delle quali ha la gestione. Sempre previa approvazione da parte della maggioranza dell’assemblea, può esercitare le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle sue attribuzioni (articolo 1136, comma 4 cc).
Nell’ambito di questo quadro di riferimento, la sentenza solleva perplessità.
L’amministratore condominiale è titolare della rappresentanza processuale attiva dei singoli condòmini. Egli potrà quindi agire nei confronti dei singoli partecipanti, oppure contro i terzi sia per l’adempimento delle obbligazioni assunte, sia per impugnare l’atto stipulato, sia ancora per conseguire la condanna al risarcimento del danno arrecato alle parti e ai servizi comuni (non invece a quelli subiti dai singoli partecipanti). Potrà pure impugnare la sentenza sfavorevole, con ogni mezzo ordinario o straordinario a disposizione della parte e chiamare terzi (o gli stessi condomini) in causa.
Anche la conclusione del contratto di locazione di un appartamento condominiale è da considerarsi atto di amministrazione ordinaria, essendo possibile conseguire la finalità del «miglior godimento delle cose comuni» anche attraverso l’accrescimento dell’utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto); ne consegue che, ove l’amministratore del condominio abbia locato il bene condominiale anche in assenza di un preventivo mandato che lo abilitasse a tanto, deve ritenersi valida la ratifica del suddetto contratto di locazione disposta dall’assemblea dei condomini con deliberazione adottata a maggioranza semplice.
Lo stesso criterio, ad avviso dello scrivente, non è applicabile analogicamente nei casi in cui occorra agire giudizialmente per il recupero dei canoni poiché non è possibile equiparare i “canoni di locazione” agli “oneri condominiali”.
Secondo il chiaro disposto dell’art. 1130 del codice civile l’amministratore “riscuote dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea”, ma “i contributi” ovvero gli “oneri condominiali” non riguardano il diverso credito per canoni di locazione che, rinveniente da un contratto di locazione di un appartamento di proprietà pro quota di tutti i condomini, non è recuperabile per il tramite dell’amministratore soprattutto in assenza di un’autorizzazione ad hoc rilasciata dai singoli creditori (i proprietari dell’appartamento condominiale).
Cosa diversa se, con una delibera assembleare, i condomini avessero destinato l’eventuale provento a spese condominiali, in tal caso la natura del credito ceduto al condominio divenuto perciò “bene comune”, ben avrebbe potuto essere gestito dal condominio, a mezzo dell’amministratore. Nella fattispecie in esame non era stato conferito dai condomini nominativamente, neanche in sede assembleare, singolo mandato all’amministratore in proprio ad esigere il suddetto credito perché in tal caso la legittimazione sostanziale attiva sarebbe spettata alla persona fisica del mandatario essendo il credito azionato dal condominio non di natura condominiale, ma di natura proprietaria ex art. 820 c.c., che fa capo a ciascun singolo condominio.
Ne consegue, pertanto, che l’amministratore sul piano processuale è carente di legittimazione sostanziale poiché non è titolare del diritto di credito azionato.
In conclusione l’amministratore, in base alle norme vigenti, ha il potere di concludere validi contratti di locazione di beni condominiali ma il suo operato deve essere autorizzato ovvero ratificato con deliberazione dell’assemblea dei comunisti ed agire per il recupero dei canoni purché autorizzato da ciascun condomino anche in sede assembleare ma in qualità di loro mandatario (non di amministratore del condominio) e l’eventuale importo recuperato dovrà essere attribuito ai condomini secondo i millesimi di proprietà di ciascuno, ma ciò non esclude che ciascun condomino possa provvedere direttamente.
© Riproduzione riservata

di Luigi De Santis, Avvocato
ldesantis@defolaw.com