In caso di recesso anticipato dal contratto di locazione per inadempimento dell’amministratore il locatore, per invocare il lucro cessante, deve provare sia l’inadempimento e sia che dallo stesso sia emersa una conseguenza immediata e diretta di danni, cioè la perdita del reddito derivante dal contratto di locazione (Tribunale di Bologna, sentenza n.599 del 11/03/2025)
Il caso
Un condomino, proprietario di un appartamento all’interno di un condominio, aveva affittato a uso commerciale il proprio immobile ad un artista di fama internazionale che lo adibiva a proprio laboratorio, studio ed atelier, per la custodia ed occasionale esposizione delle opere d’arte. Nel tempo si erano verificati tre episodi di allagamento del pavimento e versamento dalle fosse biologiche condominiali con conseguente e permanente stato di umidità.
Era stata, inoltre, riscontrata la mancanza di un “collare di grondatura” in prossimità del gomito della calata di scarico delle acque piovane condominiali, il quale avrebbe impedito all’acqua di scorrere direttamente sulla parete condominiale. In secondo luogo, la colonna dell’acqua potabile condominiale perdeva da una saldatura del giunto che si era deteriorata.
Il tutto provocava distacchi dell’intonaco, presenza di muffe, annerimenti e costante umidità.
I numerosi solleciti di richiesta di intervento inviati all’amministratore, mai riscontrati e la permanenza di tali criticità inducevano il conduttore a recedere anticipatamente dal contratto riservandosi di rivalersi contro l’amministratore per i danni subiti ai beni e alle opere.
Le eredi del locatore, nel frattempo deceduto, depositavano ricorso innanzi al tribunale con il quale veniva dichiarato che l’amministratore del condominio è responsabile nei confronti dei singoli condomini ai sensi degli artt. 1176 c.c. e 1218 c.c.. in quanto custode ex lege delle parti comuni (fosse biologiche, tubature condominiali, strutture portanti dell’edificio) avendo egli ignorato le numerose richieste di risoluzione delle problematiche evidenziate dal proprietario che nel tempo si erano aggravate e dal conduttore nel corso degli anni, rendendosi addirittura irreperibile dopo aver convocato l’assemblea che aveva deliberato di procedere con un ATP.
Gli eredi chiedevano pertanto al tribunale di condannare l’amministratore al risarcimento dei danni pari ai canoni di locazione maturandi dall’intervenuta risoluzione contrattuale sino alla naturale scadenza della locazione (c.d. lucro cessante). L’amministratore, nel frattempo revocato dall’assemblea, rimaneva contumace, nonostante l’accertata corretta ritualità della notifica.
Il tribunale ha accolto la domanda del ricorrente e ha accertato la responsabilità contrattuale dell’amministratore di condominio. I giudici hanno però ridimensionato il quantum della pretesa risarcitoria in una somma equitativamente determinata in ragione dell’applicazione dell’art. 1127 c.c., cioè che tenesse conto del mancato utilizzo dell’immobile nel lasso di tempo resosi necessario per la sua rimessione in pristino e per la ricerca di un nuovo conduttore.
La soluzione del tribunale
Il tribunale affronta il tema del risarcimento del danno dovuto dall’amministratore a seguito della risoluzione anticipata di un contratto di locazione ad uso commerciale di un immobile causata dalla omessa manutenzione delle parti comuni: manutenzione che serviva a conservare in buono stato ogni componente dell’edificio, così da salvaguardarne le funzionalità e scongiurarne il deterioramento.
Per effetto dell’articolo 1710 cc. applicabile all’amministratore per espresso richiamo contenuto nell’art 1129 c.c., l’inosservanza da parte dell’amministratore dei doveri rientranti nei suoi compiti è da considerarsi fonte di responsabilità contrattuale e risponde a titolo di colpa ogni qualvolta non agisce con la diligenza del buon padre di famiglia e dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari.
Il codice civile all’art. 1223 (risarcimento del danno) dispone che “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata“.
Una volta accertato l’inadempimento (art 1218 cc responsabilità del debitore), quindi, occorre verificare se da esso sia emersa una conseguenza immediata e diretta di danni (1223 c.c.) come ad esempio quelli invocati dalla parte attrice – per tornare al caso in esame – consistenti nella perdita del reddito derivante dalla risoluzione anticipata del contratto dilocazione.
Nella fattispecie, il giudice aveva ritenuto provato il nesso causale tra il comportamento gravemente omissivo, dell’amministratore e l’anticipato recesso del conduttore che giustificava la disdetta, in ragione dei problemi strutturali, delle condizioni insalubri, dalla mancata manutenzione delle fosse biologiche.
Come pure il tribunale aveva ritenuto fondata la richiesta del proprietario dei canoni di locazione futuri che avrebbe riscosso se la locazione non fosse stata interrotta dal suo comportamento negligente ovvero il cosiddetto “ lucro cessante ”, cioè il guadagno che viene meno al creditore a seguito dell’inadempimento o che la vittima perde a causa dell’illecito altrui purché vi sia una ragionevole certezza sul suo verificarsi.
In relazione a tale voce di danno, parte attrice ipotizza un danno pari a tutta la durata della locazione disdettata a causa della inerzia del convenuto. Chiedeva a titolo di risarcimento tutti i canoni di locazione che sarebbero maturati dalla data di recesso (giugno 2017) fino alla scadenza naturale del contratto (giugno 2026).
La domanda di risarcimento seppur accolta veniva, però, ridimensionata nella richiesta economicain quanto tale richiesta presupporrebbe che il bene fosse rimasto non cedibile in locazione per tutto il periodo cioè fino alla scadenza naturale del contratto. Cosa che il tribunale non riscontrava in quanto una volta pervenuta la disdetta, la proprietà aveva provveduto a rendere abitabile l’immobile ed a locarlo nuovamente per cui non poteva addebitarsi tutto il risarcimento richiesto al convenuto.
Seppur vero, quindi, che la condotta della parte convenuta aveva cagionato un mancato utilizzo del bene questo lo era stato solo per un periodo inferiore ad un terzo rispetto a quello di cui alla domanda (circa nove anni); cioè: un paio d’anni per la rimessa in pristino ed un periodo inferiore ad un anno per la ricerca di un nuovo conduttore. Per tali motivi il tribunale ha condannato l’amministratore a pagare alla parte attrice i canoni di locazione maturati successivamente al recesso del conduttore quantificati in una somma pari un terzo dell’importo richiesto da quest’ultima.
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di Luigi De Santis, Avvocato
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