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Home Normativa

SE IL CONDOMINO VENDE CASA NON PUÒ PIÙ IMPUGNARE LA DELIBERA

Novembre 20, 2024
in Normativa
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casa occupata
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Se un condomino impugna una delibera per vizio di annullabilità e, in corso di causa, vende la propria unità immobiliare, deve dimostrare la permanenza dell’interesse alla pronuncia. Qualora tale interesse non sussista, l’ex condomino, non rivestendo più tale status, non è legittimato ad impugnare e, di conseguenza, il giudice dichiarerà l’inammissibilità del procedimento (Corte di cassazione, ordinanza n. 16654/2024).

IL CASO

Un condomino impugnava una delibera assembleare del 30 maggio 2012 avente a oggetto lavori di manutenzione straordinaria del fabbricato. Il verbale di assemblea gli giungeva il 3 luglio. 

A dire dell’attore, i vizi eccepiti erano causa di nullità della delibera in quanto riguardavano incongruenze tra i lavori di capitolato e quelli eseguiti e con quelli non autorizzati e non concordati.

La corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado escludendo che i vizi denunciati dall’attore consistessero in cause di nullità e affermava l’avvenuta decadenza dall’azione di annullamento per decorso del termine di trenta giorni previsti dall’art. 1137 c.c.   

L’appellante, odierno ricorrente, presentava il ricorso in Cassazione ribadendo che si trattava di vizi di nullità imprescrittibili – superando così il problema dei termini di decadenza – ma che qualora fossero da considerarsi come vizi di annullabilità, la decadenza dei termini di trenta giorni era stata impedita con la consegna della citazione all’ufficiale giudiziario per la notifica, nei termini (29 giugno).

Si costituiva il condominio, il quale eccepiva, tra gli altri, la sopravenuta carenza di legittimazione attiva dell’attore in quanto, avendo venduto con atto del notaio nel 2016 il proprio appartamento, non era più condomino. 

Alla corte di cassazione veniva quindi sottoposto il problema della ammissibilità del ricorso al venir meno dell’interesse ad agire e, quindi, dell’interesse a ricorrere.

LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La suprema corte dopo aver affermato che il vizio eccepito non rientrava nella categoria residuale della nullità ma bensì dell’annullabilità sottoposto ai termini di cui all’art. 1137 c.c., precisava che la legittimazione ad agire per l’annullamento, riconosciuta agli assenti, ai dissenzienti e agli astenuti da quest’ultimo articolo, è subordinata alla prova di uno specifico interesse diverso da quello della semplice rimozione dell’atto impugnato.

L’interesse ad agire sotto il profilo processuale suppone che sussista una lesione individuale di rilievo patrimoniale correlata alla delibera impugnata, così rivelando quale interesse concreto potrebbe ricevere, l’istante, dall’accoglimento della domanda.

L’azione di annullamento delle delibere ex art. 1137 c.c. presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di condomino dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda ma anche al momento della decisione della controversia atteso che la perdita di tale status determina la conseguente perdita dell’interesse ad agire dell’istante.

Il venir meno, in corso di causa, dello status di condomino e, quindi, del requisito della legittimazione impedisce al giudice di pronunciare l’annullamento della deliberazione impugnata essendo venuto meno ogni interesse dell’attore a meno che egli non prospetti che la permanente efficacia di tale delibera continui a ripercuotersi sulla sua sfera patrimoniale (ad es. essere tutt’ora obbligato a pagare le spese in essa approvate).

Ora, avendo il ricorrente venduto il proprio immobile durante il giudizio di appello, la Corte ha escluso che si potesse pronunciare sull’annullamento della delibera in quanto la perdita della status di condomino da parte dell’attore aveva fatto venir meno ogni suo interesse ad un diverso contenuto organizzativo della delibera e, quindi, anche ad avvalersi dell’impugnazione non avendo lo stesso dimostrato una permanente incidenza negativa delle irregolarità denunciate nella sua sfera giuridica ovvero nel suo patrimonio.

Precisa ulteriormente che è al momento del deposito del ricorso che l’istante avrebbe dovuto allegare la prova dell’interesse al giudizio per far venir meno la delibera che costituiva il titolo in base al quale erano state riscosse delle rate da parte del condominio che potevano essergli restituite.

In realtà queste deduzioni erano state introdotte, successivamente, solo nelle memorie illustrative ex art. 380 bis 1 c.p.c. che hanno come scopo quello di illustrare e chiarie i motivi dell’impugnazione non potendo invece servire a specificare o integrare o ampliare il contenuto dei motivi originari del ricorso.

Per tali motivi la corte dichiarava inammissibile il ricorso ed elaborava il seguente principio di diritto.

“L’azione di annullamento delle deliberazioni dell’assemblea di condominio […]presuppone quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di condomino dell’attore non solo al momento della preposizione della domanda ma anche al momento della decisione della controversia determinando, di regola, la perdita di tale status, il conseguente venir meno dell’interesse ad agire dell’istante ad ottenere giudizialmente una caducazione o una modifica della portata organizzativa della delibera impugnata. La perdita della qualità di condomino può lasciar sopravvivere l’interesse ad agire solo quando l’attore vanti un diritto in relazione alla sua passata partecipazione al condominio e tale diritto dipenda dall’accertamento della legittimità della delibera presa allorché egli era ancora condomino, ovvero quando tale delibera incida tuttora in via derivata sul suo patrimonio” (Corte di cassazione, ordinanza n. 16654/2024).

di Luana Tagliolini Giornalista
luanatagliolini@virgilio.it

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