La seconda sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2231 del 24.10.2024 pubblicata a fine gennaio ha affermato che, un giardino compreso in un complesso immobiliare può formare oggetto, ad un tempo, di proprietà esclusiva e di comunione, fornendo utilità differenziate al proprietario del suolo e ai titolari delle unità immobiliari dell’edificio condominiale. Se questi ultimi hanno, come nel caso di specie, il diritto di utilizzare tale bene ciò giustifica l’obbligo di contribuzione dei partecipanti al condominio alle spese di pulizia di detto guardino (arg. da Cass. civ. n. 22573 del 2020).
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine da un ricorso contro una sentenza del tribunale di Cosenza che aveva accolto l’appello avverso la decisione del giudice di pace di Cosenza dichiarando tardiva per intervenuta decadenza l’impugnazione ex art. 1137 del codice civile della delibera assembleare con la quale il condominio aveva deciso di “…attivare la pulizia del giardino…” ponendo il relativo costo a carico di tutti i condomini, nonostante lo stesso fosse di proprietà esclusiva degli eredi avendone tutti gli altri condomini un diritto d’uso per come scritto nel regolamento di condominio. Secondo la Cassazione il fondamento della partecipazione agli oneri condominiali, ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c., non è infatti necessariamente correlato alla contitolarità del bene, spesso piuttosto derivando dalla sua utilitas che essa arreca alle singole unità immobiliari, indipendentemente dal regime di proprietà (si pensi all’art. 1126 c.c., in rapporto alle spese per i lastrici o le terrazze a livello di proprietà esclusiva, svolgenti funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti). Una delibera che, come nella specie, sul presupposto della comune utilità di un giardino allocato in una proprietà esclusiva, approvi il riparto delle relative spese di pulizia, per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., deve comunque essere impugnata dai condomini assenti, dissenzienti o astenuti nel termine stabilito dall’art. 1137, comma 2, c.c., potendosene prospettare l’annullabilità, alla stregua dei principi enunciati dalle sezioni unite (Cass. civ., sez. un., n. 9839 del 2021), ove venga dedotta non una modificazione dei criteri legali di riparto delle spese da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri, essendosi compresi tra le spese comuni, rientranti nell’attribuzione collegiale, oneri invece ad esse estranei.
Nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, ex art. 1137 c.c., la questione dell’appartenenza, o meno, al condominio della proprietà comune o del diritto di uso di un giardino, ovvero della titolarità comune o individuale di una porzione dell’edificio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., può peraltro formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell’atto collegiale, ma privo – in assenza di esplicita domanda di una delle parti ai sensi dell’art. 34 c.p.c. – di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli, svolgendosi il giudizio ai sensi dell’art. 1137 c.c. nei confronti dell’amministratore del condominio, senza la partecipazione, quali legittimati passivi, di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.
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Di Rossella Ceccarini, avvocato
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