Nei mesi scorsi la giurisprudenza ha chiarito la natura del rapporto di lavoro tra condominio e amministratore e a chi compete ricorrere in caso di conflitto.
Le controversie sulla determinazione del compenso dell’amministratore di condominio rientrano nella competenza del giudice ordinario e non in quella del giudice del lavoro, giacché il rapporto tra i due soggetti è qualificabile in termini di mandato ed è, altresì, privo dei requisiti della coordinazione e della ingerenza caratteristici del rapporto parasubordinato.
Tale principio di diritto è stato applicato di recente al caso di un condominio che impugnava la sentenza del tribunale che in sede di appello aveva confermato la sentenza del giudice di pace di condanna dell’ente al pagamento di una somma, in favore dell’amministratore. Somma liquidata a titolo di compenso per l’attività da questi espletata in relazione all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria. Nella stessa sede veniva respinta anche l’eccezione del condominio sull’ incompetenza per materia del giudice di pace in favore dello stesso tribunale (ma per la sezione lavoro).
Contro questa decisione il condominio ha deciso di fare ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, l’erroneità della sentenza proprio sul punto riguardante l’eccezione di incompetenza sollevata già nel primo grado del giudizio. Ad avviso del condominio, infatti, avrebbe dovuto essere il giudice del lavoro a decidere del compenso dell’amministratore di condominio, perché ai sensi dell’articolo 409, n. 3 del codice di procedura civile, l’attività è inquadrabile nei rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, di carattere prevalentemente personale, anche se non di natura subordinata. Questo tipo di inquadramento lavorativo si desume dal fatto che l’organo sovrano del condominio è l’assemblea e non l’amministratore, che è invece obbligato a fornire all’assemblea il conto preventivo e quello consuntivo e che lo stesso amministratore può essere revocato dall’assemblea.
Il motivo veniva dichiarato dalla Corte di Cassazione manifestamente infondato ed il ricorso veniva rigettato in toto anche quanto agli altri mezzi di impugnativa (sentenza n. 36430/2021). La corte richiama la costante giurisprudenza di legittimità per la quale è pacifica la competenza del giudice ordinario e non del giudice del lavoro sulle controversie aventi ad oggetto il rapporto dell’amministrazione di condominio.
Il cosiddetto rapporto di parasubordinazione, ai sensi dell’articolo 409 n. 3 del codice di procedura civile con conseguente devoluzione della controversia alla competenza per materia del tribunale quale giudice del lavoro, richiede necessariamente il requisito della coordinazione tra l’attività espletata ed il conferente, da intendersi come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore.
Nel caso di amministratore di condominio, invece, tale situazione non ricorre in quanto rappresentante del condominio ed il suo rapporto con il rappresentato è qualificabile in termini di contratto di mandato, le cui disposizioni sono applicabili ai sensi dell’articolo 1129, comma 15 del codice civile, per quanto non disciplinato in modo specifico dalla già menzionata norma.
Il dovere dell’amministratore di condominio di espletare l’incarico, in conformità alle disposizioni inderogabili di legge ed alle istruzioni concrete che eventualmente possano provenire dall’assemblea di condominio, va tenuto distinto dal potere di coordinamento e di ingerenza che caratterizza il rapporto di para-subordinazione che presuppone, a monte, un potere continuo e diffuso di intervento e intromissione che non può certo ravvisarsi ad esempio nel dovere generale dell’amministratore di dare esecuzione alle delibere dell’assemblea.
Le sue attribuzioni, indicate dalla legge (articolo 1130 del codice civile) e non dall’autonomia privata, portano a riconoscere alla sua attività completa autonomia rispetto all’ente condominio, il quale può provvedere alla sua revoca ma è privo di poteri di effettiva ingerenza e direttiva nel concreto espletamento dell’incarico.
I caratteri professionali dell’attività sono stati rafforzati dalla legge n. 220 del 2012 che ha riformato la disciplina del condominio ed ha introdotto l’articolo 71-bis disposizioni attuative del codice civile il quale richiede, ai fini della nomina, un titolo di studio e la frequentazione di un corso di formazione e di aggiornamenti annuali delineando, nel complesso, una figura professionale autonoma, dotata di una propria struttura organizzativa, costituita da uno studio, da collaboratori e da segretari, in grado di ricevere incarichi da vari enti condominiali. Profili che confliggono con le situazioni di connessione e di ingerenza che si rinvengono nei rapporti di cosiddetta parasubordinazione.
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di Luigi De Santis, Avvocato
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