Commento all’ordinanza della cassazione n. 6452/2025
La vicenda riguarda una disputa tra coeredi su alcuni beni immobili. Alcuni di loro hanno chiesto al tribunale di Modena di dividere la comunione e assegnare le proprietà in base alle quote. Gli altri, invece, hanno rivendicato la proprietà esclusiva di alcuni immobili, sostenendo di averne avuto l’uso esclusivo per molti anni e di averli quindi usucapiti.
Nello specifico uno dei convenuti ha affermato di aver costruito a proprie spese un piccolo fabbricato per attrezzi su un terreno comune e di averlo sempre utilizzato per la sua attività di fabbro mentre l’altro convenuto ha chiesto il riconoscimento dell’usucapione su un’abitazione a due piani con portico e su un fabbricato rurale destinato a pollaio.
Il tribunale ha respinto le loro richieste e ha diviso i beni secondo una perizia tecnica. La Corte d’Appello di Bologna ha confermato questa decisione, ritenendo che i ricorrenti non avessero dimostrato un possesso esclusivo dei beni tale da far valere l’usucapione. I soccombenti hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.
I principi di diritto espressi dalla Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n° 6452 dell’11.03.2025, ha espresso alcuni principi fondamentali sull’usucapione in materia di comunione:
· un comproprietario può usucapire la quota degli altri solo se dimostra di aver posseduto l’intero bene in modo esclusivo, impedendo di fatto agli altri di usarlo allo stesso modo;
· non basta che gli altri coeredi non utilizzino il bene, serve per l’appunto una condotta chiara ed inequivocabile che dimostri la volontà di possedere il bene come se fosse proprio e non più in comunione con altri partecipanti;
· la valutazione delle prove spetta ai Giudici di merito e la Cassazione può intervenire solo in caso di errori evidenti oppure gravi nella loro interpretazione.
La decisione della Cassazione
La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la sentenza della Corte d’Appello. Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha evidenziato come i ricorrenti non siano stati in grado di fornire prove sufficienti per dimostrare l’esercizio di un possesso esclusivo ed incompatibile con l’uso degli altri comproprietari.
In particolare, la Corte ha sottolineato che il semplice utilizzo di un immobile per lo svolgimento della propria attività lavorativa non è di per sé bastevole ad integrare i presupposti per l’usucapione ed affinché questo modo di acquisto a titolo originario – quale è proprio l’usucapione – possa essere riconosciuto dal giudice, è necessario che il possesso sia stato esercitato con modalità tali da rendere evidente ed incontestabile la volontà di escludere gli altri aventi diritto dal pari esercizio, circostanza questa che nel caso in esame non è stata provata adeguatamente.
Inoltre, i motivi di ricorso sono stati considerati inammissibili in quanto miravano, di fatto, a una nuova valutazione delle prove già esaminate nei precedenti gradi di giudizio. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di garantire la corretta applicazione della legge, senza sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione degli elementi probatori.
Questa pronuncia conferma un principio consolidato nella giurisprudenza: in una comunione ereditaria, l’usucapione non può basarsi su un semplice uso prolungato del bene ma richiede la prova chiara, inequivocabile e particolarmente gravosa di un possesso esclusivo, esercitato con modalità tali da escludere ogni diritto concorrente da parte degli altri coeredi. La decisione rappresenta un’importante conferma della necessità di un rigoroso accertamento probatorio quando si intende far valere l’usucapione in un contesto di comproprietà.
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di Alessandra Zarcone, avvocato
avv.alessandrazarcone@gmail.com