REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere Rel.
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16199/2021 R.G. proposto da:
XXXX domiciliata per legge in ROMA, alla piazza CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Ve.Lu. ((…)), con domicilio digitale come in atti
ricorrente
contro
YYYYY Spa, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA alla via di (…), presso lo studio dell’avvocato Ma.Gi. ((…)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sa.Al. ((…)), con domicilio digitale come in atti
controricorrente
nonché contro
IMMOBILIARE FR. Sas DI Su.Ma. E C., GA.EZ.
intimati
– avverso la SENTENZA della Corte d’Appello di MILANO n. 3238/2020 depositata il 10/12/2020.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 15/04/2024, dal Consigliere relatore Cristiano Valle.
Rilevato che:
Ri.Ma. quale conduttrice di un appartamento nell’edificio di viale (…), in Varese, in data 9/01/2016 mentre scendeva le scale cadde nell’androne condominiale e, avendo riportato la frattura del polso, conveniva in giudizio l’amministratore del condominio nonché la società proprietaria di uno degli appartamenti, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno subito per la frattura, nella misura complessiva di Euro 76.018,75;
la Ri.Ma. in particolare affermava di essere caduta mentre, per raggiungere l’uscita dell’edificio, scendeva i gradini, siti nell’androne, sprovvisti di corrimano e resi scivolosi dalla presenza di acqua ed umidità a causa delle avverse condizioni metereologiche;
si costituivano in giudizio Ga.Ez., quale socio accomandante e la società in accomandita semplice Immobiliare Fr. Sas di Su.Ma. E C., quale proprietaria di un appartamento sito nel condominio, contestando le pretese attoree e chiedendo l’estensione del contraddittorio alla compagnia assicurativa per responsabilità civile verso i terzi;
Aviva Spa, quale compagnia assicuratrice per la responsabilità civile, si costituiva in giudizio, a seguito della richiesta di chiamata in causa e della relativa autorizzazione giudiziale, e contestava a sua volta la domanda;
il Tribunale di Varese, istruita la causa documentalmente, con sentenza n. 472 del 13/07/2019 rigettava la domanda affermando che dalle allegazioni di parte attrice non risultava idoneamente tratteggiato il nesso di causa che collegava la caduta alla cosa e, inoltre, la Ri.Ma. inquilina del condominio da anni, ben avrebbe potuto e dovuto essere a conoscenza delle caratteristiche dell’immobile e in articolare dell’assenza del corrimano;
Ri.Ma. proponeva appello affermando che il Tribunale era incorso in errore nella valutazione dell’insidia;
la Corte d’Appello di Milano, nel ricostituito contradditorio delle parti, con sentenza n. 3238 del 10/12/2020 rigettava il gravame ritenendo non provate, la caduta, la scivolosità dei gradini e l’inevitabilità dell’evento;
avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione, con atto affidato a sei motivi, Ri.Ma.; resiste con controricorso la Aviva Spa;
Ga.Ez. e l’Immobiliare Fr. Sas di Su.Ma. sono rimasti intimati;
il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni; la ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale del 15/04/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione;
Considerato che:
la ricorrente propone i seguenti motivi:
primo motivo: violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. in relazione agli artt. 1227 e 2697 cod. civ., e contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione di tale disciplina, ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., laddove la Corte di appello, pur considerando non contestata la caduta della vittima sugli scalini di proprietà della convenuta, ometteva ogni valutazione in ordine alla mancanza di prova della sussistenza del fortuito, richiesta dall’art. 2051 cod. civ. per liberare il custode dalla responsabilità oggettiva prevista da tale norma;
secondo motivo: violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 2051, 1227 e 2697 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la Corte territoriale nella decisione impugnata, oltre a non avere dimostrata l’idoneità del comportamento tenuto dalla vittima ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno, ometteva, altresì, di valutare se tale comportamento potesse integrare un concorso colposo;
terzo motivo: violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. anche in relazione all’art. 2697 cod. civ. e all’art. 41 cod. pen., nonché contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione di tale disciplina, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. laddove la Corte di Appello ravvisava un’efficacia esclusiva del comportamento della vittima nella causazione dell’evento lesivo de quo, omettendo alcuna valutazione sull’apporto causale riconducibile all’assenza di corrimano e alla scivolosità del pavimento dei gradini del manufatto per cui è giudizio;
quarto motivo: violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2051, 2727 e 2729 cod. civ., nonché contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione di tale disciplina, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. laddove la Corte di appello ravvisava un’efficacia esclusiva nel comportamento della vittima nella causazione dell’evento lesivo, sulla base di un ragionamento presuntivo mancante di elementi gravi, precisi e concordanti;
quinto motivo: violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto: artt. 24 Cost. e 244 cod. proc. civ., nonché contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione di tale disciplina, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. laddove la Corte di Appello non ammetteva la prova testimoniale richiesta dall’attrice con una motivazione apparente, illogica ed irragionevole;
sesto motivo: violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. anche in relazione agli artt. 1227 e 2697 cod. civ., nonché contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione di tale disciplina, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. laddove la Corte di Appello, pur ritenendo assorbente e non contestato che la caduta sugli scalini per cui è causa fosse riconducibile al comportamento della vittima, riteneva che l’attrice non avesse provato la caduta;
in via generale il Collegio osserva che questa Corte, già con le ordinanze nn. 2480, 2481, 2482 e 2483 del 1/02/2018 ha affermato che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione;
ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro;
è stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e (o) dettata dalla comune prudenza;
l’accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima ed alle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce questione di fatto (quaestio facti), riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice di merito (Cass. n. 7173 del 4/03/2022; Cass. n. 9315 del 3/04/2019; Cass. n. 17873 del 27/08/2020; Cass. n. 18695 del 1/07/2021);
in definitiva, la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 cod. civ. (bastando la colpa del leso: Cass. n. 21675 del 20/07/2023 Rv. 668745-01; Cass. n. 2376 del 24/01/2024) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevedibilità rispetto all’evento pregiudizievole;
a tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie -da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 16502/17);
ciò posto, i motivi primo, secondo e terzo possono essere congiuntamente scrutinati in quanto strettamente connessi;
le censure in essi prospettate sono infondate, e prima ancora inammissibili, in quanto concernenti valutazioni di fatto;
per quanto concerne le censure in diritto, richiamato quanto osservato in via generale prima della disamina dei singoli motivi, deve affermarsene l’infondatezza, in quanto la Corte d’Appello, con motivazione mutuata in gran parte da quella del giudice di primo grado, ha ritenuto che nella specie si versasse in ipotesi di caso fortuito cd. incidentale (tra le molte si veda Cass. n. 11526 del 11/05/2017 Rv. 644282 – 01), atteso che il comportamento della Ri.Ma., come dalla stessa rappresentato, aveva contribuito all’eziologia dell’evento, quanto meno in termini di non adeguata predisposizione di cautele nell’incedere sugli scalini, atteso che la danneggiata abitava nel palazzo da oltre un triennio e quindi ne conosceva adeguatamente la struttura, o avrebbe dovuto conoscerla, inclusa l’assenza del corrimano e la probabile scivolosità degli scalini in caso di pioggia;
il quarto motivo è inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione del materiale istruttorio, di carattere esclusivamente documentale e, inoltre, censura impropriamente l’effettuazione del ragionamento presuntivo da parte della Corte, e in precedenza del Tribunale, le cui ragioni decisorie sono state riprese in massima parte dalla motivazione della sentenza d’appello, posto che, al contrario da quanto assunto nel motivo, i giudici di merito, sono partiti da fatti noti per desumerne, correttamente, le conseguenze, così come prescritto dagli artt. 2727 e 2729 cod. proc. civ. (Cass. n. 3541 del 13/02/2020 Rv. 657016 – 01) senza incorrere in vizio di sussunzione o nella inidonea valutazione dei fatti, che si verifica quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso;
il quinto motivo è infondato, per avere la Corte territoriale adeguatamente esposto, nel suo potere discrezionale di scelta delle prove ritenute attendibili (Cass. n. 37382 del 21/12/2022 Rv. 666679 – 05), le ragioni per le quali ritemeva inammissibili le prove testimoniali, sulla scorta di quanto già opinato dal Tribunale, sull’assunto del non essere stato indicato, sin dall’inizio, che qualcuno avesse assistito alla caduta della Ri.Ma. ed avendo, quindi, adeguatamente motivato il diniego all’ingresso della prova testimoniale;
il sesto motivo è pure infondato, la Corte non ha escluso la caduta della Ri.Ma., né l’ha negata, bensì ha affermato che questa non si era verificata con le modalità e per le cause riportate, ossia ha negato, in radice, la sussistenza dell’eziologia materiale e le censure poste dal motivo, lungi dall’affrontare la motivazione in diritto, sono di carattere meramente fattuale; il ricorso è, in conclusione, infondato; il ricorso è rigettato;
le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente nei confronti dell’Aviva Spa e, valutata l’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo;
nulla per le spese nei confronti di Ga.Ez. e della Sas Immobiliare Fr. di Su.Ma. e C., rimasti intimati;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (in forza del comma 1 bis dello stesso art. 13), se dovuto;
il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, in favore del competente Ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di cassazione, Sezione Terza civile, il giorno 15 aprile 2024.