Il vero blackout è nelle parole: perché in condominio ogni problema diventa conflitto. L’importanza di una comunicazione collaborativa
Nelle nostre case, quando una lampadina si fulmina, la reazione è quasi sempre la stessa: qualcuno lo nota, lo segnala con tono pacato, e la questione resta confinata alla dimensione della manutenzione ordinaria. Nessuno alza la voce, nessuno si sente tradito dal destino, nessuno usa quell’occasione per mettere in discussione l’intera gestione della famiglia. Si dice semplicemente “ricordati che si è fulminata la lampada del soggiorno, quando puoi la cambi”, e il problema si risolve. Tutto cambia, però, quando la stessa lampadina si fulmina su un pianerottolo condominiale. In quel caso, la frase diventa un’accusa: “È mai possibile che siamo sempre senza luce? Con tutte le spese che abbiamo in questo condominio non funziona mai niente! Non si riesce a vivere in pace!”. La differenza tra i due atteggiamenti non è solo questione di spazio fisico, ma di psicologia collettiva e di comunicazione distorta.
Il condominio è il luogo dove piccoli guasti diventano grandi drammi, dove disservizi minimi assumono il peso di scandali, dove la lampadina fulminata diventa simbolo dell’incapacità gestionale dell’amministratore o del malfunzionamento dell’intero sistema. L’ascensore bloccato per poche ore diventa “l’ennesima prova che qui non funziona niente”; il portone che resta aperto per un pomeriggio diventa “un attentato alla sicurezza di tutti”; il giardino trascurato dopo una settimana di pioggia diventa “una vergogna per quello che paghiamo di spese”. Non c’è proporzione tra l’evento e la reazione. L’evento domestico è un incidente banale, quello condominiale è un disservizio strutturale.
Gli esempi abbondano. In un palazzo milanese, un guasto temporaneo all’impianto di riscaldamento provocò una valanga di e-mail e messaggi in chat: “Qui paghiamo come in un hotel a cinque stelle e non funziona mai nulla, è una vergogna!”, “Qualcuno deve prendersi le sue responsabilità, non se ne può più!”. Il guasto era stato causato da una valvola bloccata, risolta nel giro di 12 ore, ma la reazione fu come se si trattasse di una catastrofe di proporzioni nazionali. In un condominio romano, l’ascensore rimase fermo per due giorni a causa della mancanza di un pezzo di ricambio. La comunicazione dell’amministratore, che informava del problema e dei tempi tecnici di riparazione, non fu accolta come un gesto di trasparenza ma come un atto d’accusa: “Ecco, sempre la solita storia, incompetenza totale!”. A Bologna, un portone elettrico bloccato per un guasto elettrico generò l’ennesima riunione infuocata, con frasi come “abbiamo un amministratore che non amministra” e “qui si buttano soldi per non avere nulla”.
LA DINAMICA DEL CAPRO ESPIATORIO
Perché accade tutto questo? La psicologia sociale spiega che la comunicazione condominiale è segnata da un fenomeno preciso: la dinamica del capro espiatorio. Nel momento in cui il problema riguarda lo spazio condiviso, la responsabilità viene automaticamente proiettata su qualcun altro, spesso l’amministratore. La lampadina in casa appartiene a me: se non funziona, me ne occupo. La lampadina sul pianerottolo appartiene a tutti: se non funziona, nessuno se ne occupa, ma tutti si sentono legittimati ad accusare. È il principio della de-responsabilizzazione, già studiato da psicologi come Zimbardo: quando il problema è collettivo, l’individuo si sente meno coinvolto, ma più legittimato a criticare.
A questo si aggiunge la percezione economica. In casa non si pensa a quanto costa sostituire una lampadina. In condominio, invece, ogni piccolo disservizio viene immediatamente legato alle spese condominiali: “Con tutto quello che paghiamo…”. È un meccanismo automatico: il costo delle spese diventa lente attraverso cui si legge ogni piccolo guasto. La comunicazione, di conseguenza, assume un tono aggressivo, perché ogni evento è percepito non come imprevisto tecnico ma come ingiustizia economica.
Ci sono poi i principi della scienza della comunicazione che spiegano questo fenomeno. La teoria dell’attribuzione mostra come gli individui tendano ad attribuire cause interne ai comportamenti degli altri (l’amministratore è incompetente) e cause esterne ai propri (è stato un caso, non è colpa mia). È il motivo per cui la lampadina in casa è “sfortuna”, mentre la lampadina in condominio è “incompetenza dell’amministratore”. La dissonanza cognitiva, invece, spiega come i condomini, dovendo giustificare il malcontento per spese elevate, cerchino sempre conferme della propria insoddisfazione: ogni guasto diventa prova che hanno ragione a lamentarsi.
La spirale del conflitto, ben descritta da Wilmot e Hocker, chiarisce come ogni comunicazione aggressiva generi a sua volta un’escalation: un commento negativo provoca una risposta difensiva, che a sua volta diventa nuovo attacco. È la dinamica che vediamo nelle chat condominiali, dove da una lampadina fulminata si arriva a parlare di anni di cattiva gestione, di presunte irregolarità, di accuse personali. L’errore comunicativo iniziale si autoalimenta, fino a trasformarsi in conflitto insanabile.
Il condominio, dunque, diventa teatro di una comunicazione patologica. L’amministratore è il primo bersaglio: figura professionale esposta, si trova a dover gestire non solo i guasti tecnici ma soprattutto il fiume di aggressività verbale che essi generano. Ogni sua comunicazione rischia di essere interpretata come una giustificazione, ogni sua spiegazione come una scusa. Anche quando interviene con tempestività, l’accusa resta: “Non abbastanza veloce, non abbastanza competente, non abbastanza trasparente”.
Questa dinamica non è solo ingiusta, ma anche pericolosa. Perché logora la figura dell’amministratore, scoraggia i professionisti seri, genera diffidenza tra i condomini stessi. Trasforma la comunità in una trincea, dove ogni piccolo guasto diventa un pretesto per sparare contro l’altro. Ed è assurdo se pensiamo che la maggior parte dei problemi condominiali sono di natura tecnica, facilmente risolvibili, e che il vero problema non è la lampadina fulminata, ma la comunicazione fulminata.
IL GIUDIZIO GENERA CONFLITTO
Eppure, se guardiamo meglio, ci accorgiamo che la soluzione c’è. Lo studio sulla comunicazione ci insegna che i conflitti si riducono quando le persone imparano a distinguere tra fatti e interpretazioni, tra eventi e giudizi. Una lampadina fulminata è un fatto. Dire “qui non funziona mai niente” è un giudizio. Il fatto si risolve con un intervento tecnico, il giudizio genera conflitto. La comunicazione assertiva, basata sulla chiarezza e sul rispetto, potrebbe cambiare radicalmente l’atmosfera: “Abbiamo notato che la lampadina del pianerottolo è fulminata, possiamo chiedere al tecnico di intervenire quanto prima?”. È la stessa frase, ma con un tono diverso. Il risultato non è solo un intervento più rapido, ma un clima più sereno.
Il futuro dei condomini passa proprio da qui: dalla capacità di trasformare la comunicazione aggressiva in comunicazione collaborativa. Non significa eliminare i problemi, ma imparare a parlarne in modo che non diventino conflitti. Significa riconoscere che l’amministratore non è il nemico, ma il professionista che garantisce la gestione. Significa capire che dietro ogni lampadina fulminata non c’è un complotto, ma solo una lampadina fulminata.
Il condominio è un laboratorio di convivenza. È lì che possiamo imparare a comunicare meglio, a gestire i conflitti, a rispettare ruoli e competenze. È lì che possiamo costruire una cultura della comunicazione positiva, che smetta di fulminarsi alla prima occasione e che impari a illuminare la vita comune. Perché la differenza tra una casa e un condominio non dovrebbe stare nel tono delle nostre parole, ma nella forza della nostra comunità.

di Emilio Brancadoro
Esperto di gestione immobiliare e promozione culturale.



