I poteri dati dalla riforma del 2012 contro i condomini morosi si scontrano con la realtà dei fatti. Ecco cosa può effettivamente fare l’amministratore
La riforma del condominio (legge n. 220/2012) ha conferito all’amministratore un potere apparentemente incisivo per combattere la piaga della morosità: la sospensione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato. L’articolo 1129, comma 1, n. 6, del codice civile impone infatti all’amministratore di agire tempestivamente contro il condomino che non abbia versato i contributi per almeno sei mesi.
Nello specifico, l’articolo 1129, comma 1, lett. h), c.c. stabilisce che l’amministratore, senza necessità di autorizzazione assembleare, può “sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato” dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo esecutivo e aver inutilmente intimato il pagamento.
Questo dettato normativo, nato con l’intento di rafforzare la gestione finanziaria del condominio, si scontra quotidianamente con la realtà tecnica e legale, rendendo la sua piena applicazione, nella maggior parte dei casi, un “potere impossibile”.
IL COLLO DI BOTTIGLIA LEGALE: IL DECRETO INGIUNTIVO
Il primo ostacolo alla rapidità d’azione è la necessità di ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Sebbene l’azione per il recupero crediti sia facilitata (l’amministratore agisce con la sola copia del verbale di riparto), i tempi legali per la notifica del decreto ingiuntivo e l’eventuale opposizione del debitore possono comunque ritardare l’effettiva possibilità di procedere con la sospensione.
Fino a quando il decreto ingiuntivo non diventa esecutivo, l’amministratore non ha il potere di attivare la sanzione. Questo requisito garantisce il diritto alla difesa del condomino, ma al contempo depotenzia l’immediatezza deterrente della norma.
LA BARRIERA TECNICA: COSA È “SUSCETTIBILE DI GODIMENTO SEPARATO”?
Il vero nodo cruciale è l’interpretazione e l’applicabilità tecnica della locuzione “servizi comuni suscettibili di godimento separato”.
- Servizi essenziali e diritto alla salute: La giurisprudenza ha da subito escluso la possibilità di sospendere i servizi considerati essenziali, quali l’acqua e il riscaldamento centralizzato, quando ciò compromette la dignità, la salute o l’igiene del moroso e del suo nucleo familiare (spesso richiamando anche la Costituzione). Bloccare l’erogazione dell’acqua o del riscaldamento a un’unità abitativa è, nella pratica, quasi sempre vietato per ragioni etiche e legali superiori;
- Impossibilità di separazione tecnica: Nella maggior parte degli edifici costruiti prima della recente evoluzione impiantistica, i servizi comuni non sono progettati per essere disconnessi a livello del singolo appartamento.
- Ascensore: non è tecnicamente possibile disattivare l’ascensore solo per il moroso che abita al terzo piano. Bloccarlo per tutti violerebbe il diritto degli altri condòmini;
- Illuminazione scale/androni: uguale impossibilità di esclusione selettiva;
- Riscaldamento centralizzato (vecchi impianti): la chiusura di una singola colonna o l’interruzione del flusso a un termosifone può sbilanciare l’intero impianto, causando danni o malfunzionamenti ad altre unità abitative.
I RARI CASI APPLICABILI
La sospensione del servizio risulta concretamente attuabile solo in poche situazioni in cui è possibile intervenire sull’unità immobiliare del moroso senza impatto sugli altri.
- Antenna centralizzata o TV Satellitare: è spesso il caso più semplice da gestire, potendo disattivare il cavo di derivazione dall’appartamento moroso;
- Aree di parcheggio private o box: in teoria, si potrebbe impedire l’accesso al posto auto assegnato, ma ciò richiede spesso l’uso di barriere o lucchetti, operazioni che possono generare nuove liti e azioni legali per “spoglio”;
- Impianti con contabilizzazione individuale: solo se l’impianto è dotato di valvole o contatori intelligenti (e spesso, separati) che consentono un’interruzione selettiva e remota senza influenzare l’impianto generale.
LE RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
Di fronte a un panorama così complesso, l’amministratore si trova in una posizione delicata. La legge lo obbliga ad agire per il recupero, ma la sua azione di sospensione può essere paralizzata da considerazioni etiche, tecniche e dal rischio di denuncia per interruzione di pubblico servizio (se i servizi sono considerati essenziali) o di abuso.
La realtà è che il vero potere dell’amministratore rimane, come prima del 2012, l’azione legale di recupero del credito e l’eventuale iscrizione di ipoteca, lasciando la sanzione della sospensione come una misura dal fortissimo valore deterrente teorico, ma dalla limitatissima applicazione pratica.
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di Marco Quagliariello, Presidente nazionale APICE
Studioquagliariello@gmail.com










