In un settore, come quello condominiale, segnato da un altissimo tasso di conflittualità, la mediazione civile obbligatoria introdotta dal Dlgs. 28/2010 e potenziata dalla riforma Cartabia (Dlgs. 149/2022), rappresenta uno strumento essenziale per alleggerire i tribunali e trovare soluzioni condivise.
Tuttavia, un nodo irrisolto rischia di compromettere l’efficacia e la credibilità di questo meccanismo: la possibilità per l’avvocato di assistere il proprio cliente sia in sede di mediazione che, in caso di fallimento della stessa, nel successivo giudizio civile. Un conflitto di interessi sottovalutato ma fondamentale che non aiuta alla soluzione veloce del problema.
Il principio di terzietà è alla base di ogni procedimento conciliativo. Ma che fiducia può avere una parte nel processo di mediazione se l’avvocato che la consiglia nella trattativa ha un interesse economico concreto al fallimento dell’accordo? La parcella dell’attività giudiziale, infatti, è notoriamente più remunerativa e articolata rispetto a quella per la semplice consulenza in mediazione.
Questa situazione non configura un illecito deontologico in senso stretto, ma rappresenta senza dubbio una distorsione del sistema, tanto più grave perché riguarda una fase fondamentale del procedimento civile: quella in cui si dovrebbe costruire un ponte, non erigere un muro.
La stessa riforma Cartabia, pur introducendo importanti novità sul piano procedurale e incentivando l’uso della mediazione, non ha posto alcun vincolo alla doppia funzione dell’avvocato. Una scelta che appare, a mio avviso di utente, come una grave dimenticanza o, più probabilmente, come una rinuncia a intervenire su un terreno spinoso.
Da più parti si invoca oggi una ulteriore modifica normativa mirata: imporre una netta separazione tra il legale che assiste la parte in mediazione e quello che eventualmente la rappresenta in giudizio dovrebbe essere una di queste.
Si tratterebbe di una misura semplice, ma rivoluzionaria. Non un’utopia, ma una prassi già applicata in altri Paesi dell’Unione Europea, dove la mediazione è affidata a professionisti terzi ed estranei al possibile contenzioso, garantendo una maggiore neutralità ed efficacia.
In Italia, questa separazione di ruoli è ancora facoltativa e affidata alla sensibilità dei singoli studi legali, ma la sua introduzione per legge contribuirebbe a rendere credibile il percorso conciliativo ed evitare abusi o forzature nell’interesse personale. Inoltre, restituirebbe centralità all’accordo volontario e alleggerirebbe realmente il carico della giustizia ordinaria.
Un esempio pratico: la classica lite per infiltrazioni in condominio alla quale ho partecipato personalmente come amministratore del condominio. Il condomino dell’appartamento al piano inferiore subisce infiltrazioni provenienti dal terrazzo di copertura e cita il condominio in mediazione, sostenendo la responsabilità dell’amministratore e del condominio per la mancata manutenzione.
L’avvocato della parte istante partecipa all’incontro presso l’Organismo di Mediazione e consiglia al suo cliente di non accettare l’accordo transattivo proposto dal legale del condominio – da ratificare in ogni caso dall’assemblea condominiale – nel caso specifico un risarcimento parziale con pagamento dilazionato. Nello stesso momento, il legale sa che, se si andrà in giudizio, potrà percepire onorari ben superiori per l’assistenza in una causa che durerà anni. In questo scenario, è lecito domandarsi se la valutazione dell’opportunità conciliativa sia stata realmente obiettiva o condizionata da interessi personali. E anche se non vi è dolo, il semplice sospetto mina la fiducia nell’intero sistema.
In definitiva se vogliamo una giustizia civile più efficiente, dobbiamo necessariamente partire dalla fiducia. La riforma Cartabia ha avuto, senz’alcun dubbio, il merito di rafforzare la mediazione come strumento deflattivo e dialogico. Ma una riforma senza regole chiare sull’imparzialità rischia di trasformarsi in un’arma spuntata.
Se davvero vogliamo una giustizia più snella, veloce e credibile, bisogna ripartire da qui: dalla qualità etica della mediazione. E questa qualità si costruisce con norme che garantiscano trasparenza, terzietà e fiducia.
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di Battista Praino Amministratore
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