Bonus barriere architettoniche, ultime settimane. Ora la politica intervenga

Ancora poche settimane per usufruire del bonus barriere architettoniche. Una persona su 4 ha disabilità, senza aiuti ci sarà più discriminazione e sempre meno turismo. È ora di renderlo strutturale

L’epoca d’oro dei bonus è al tramonto, lo sappiamo da oramai due anni e chi può deve approfittare degli ultimi scampoli di incentivi che ci sono da qui a dicembre perché nel 2026 molti sconti saranno eliminati o ridotti. Ce n’è uno però la cui cancellazione è un errore grave a cui la politica può porre rimedio nelle prossime settimane, prima dell’approvazione finale della manovra: parliamo del bonus barriere architettoniche, finito nel tritacarne della manovra 2026 ed eliminato (come da programma) senza godere di nessuna proroga.

Il bonus per l’abbattimento delle barriere architettoniche esiste dal 2022, introdotto con clamoroso ritardo rispetto a una normativa che esiste da quasi 40 anni. La legge sul tema è infatti la 13 del 1989 poi “integrata” dal Dpr 503 del 1996 sugli spazi pubblici (per chi è interessato qui trova un analisi della normativa italiana). Ma di cosa stiamo parlando? Le barriere architettoniche sono ostacoli fisici che limitano la mobilità di persone con ridotta capacità motoria o sensoriale. Quindi scale, strettoie, porte che impediscono a chi ha limitazioni fisiche di accedere o uscire da un luogo. Oggi il bonus disponibile è molto efficace ma molto limitato: consente di intervenire su cinque categorie: scale, ascensori, rampe, servoscala e piattaforme con una detrazione del 75% della spesa (fino a 50.000 euro). Non copre interventi essenziali però in appartamento, come l’allargamento di una porta o l’adeguamento di un bagno.

Del bengodi di bonus degli ultimi anni questo è forse il primo che andava tutelato, per molte ragioni: in primis di uguaglianza di diritti e opportunità e poi anche di calcolo economico e sociale. Le barriere architettoniche non riguardano solo chi è in sedia a rotelle o più in generale le persone con disabilità, di cui comunque le nostre città per abili sembrano essersi dimenticate, ma riguardano anche gli anziani di cui le nazioni occidentali saranno sempre più piene nei prossimi decenni. Oggi 1 adulto su 4 in Unione europea è portatore di qualche disabilità (l’Italia è più fortunata e si trova sotto la media europea in questo senso) e fra qualche anno cresceranno. Si tratta non solo di persone che fanno immensa fatica a godere della città come gli altri ma in molti casi fanno fatica ad uscire dal proprio appartamento in cui spesso finiscono relagate.

Se non bastasse la questione di uguaglianza sociale c’è un tema economico. L’Onu ha stimato che chi non adeguerà le proprie città all’accesso di persone con disabilità o ridotta mobilità perderà il 20% del giro d’affari turistico nei prossimi anni. L’Italia, che ha una delle più forti vocazioni turistiche al mondo e che ha città fra le più difficili da percorrere, ne subirà un danno enorme se non si mette al passo.

Parliamo di un ritardo epocale dei nostri palazzi e dei nostri quartieri a fronte di reiterati appelli internazionali. Ben tre conferenze internazionali delle Nazioni Unite in pochi anni (l’ultima la Habitat III a Quito nel 2017) con altrettante dichiarazioni di intenti sottoscritte da decine di Paesi, conferenze internazionali sullo Universal Design (architettura ed urbanistica accessibili e fruibili da tutti) e la New Urban Agenda. L’Unione Europea nel 2021 ha persino lanciato uno stile architettonico chiamato Nuovo Bauhaus Europeo che incentiva e premia le costruzioni sostenibili e accessibili. Eppure da noi le grandi città fanno poco e i condomìni ancora meno.

LE SPESE IN CONDOMINIO

Nei palazzi si apre spesso un braccio di ferro economico imbarazzante. Perché se è un diritto del condomino disabile veder abbattere le barriere architettoniche il paradosso è che non è un dovere per gli altri abitanti del palazzo pagare per rimuoverle. Questo significa che alla richiesta di un condomino di installare una rampa l’assemblea non può impedirlo ma può non approvare la spesa. Il che significa che il singolo condomino di fatto deve rimuovere le barriere architettoniche a sue spese. Ecco perché il bonus non solo va rifinanziato ma va addirittura reso strutturale e permanente. In Parlamento ci sono molte figure sensibili al tema a cui affidiamo il nostro appello per un Paese più equo e civile che non si chiuda nei prossimi anni ai soli viaggiatori e professionisti abili e normodotati che vogliano visitarlo e investirci. C’è tempo fino all’approvazione finale della legge di Bilancio per cambiare la norma, confidiamo che questi parlamentari, di tutti i colori politici, si facciano sentire fino agli uffici del ministero di Via venti Settembre.

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di Andrea Battistuzzi – Giornalista
direzionerivista@condominiozeroproblemi.it